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Pensieri rapidi #23


Apprendo dalle riviste specializzate che è in arrivo, anzi è già in uso, un nuovo tipo di autovelox, che potrebbe essere definito come “arma finale”: Scout Speed. Lo strumento, che è riduttivo definire autovelox, è molto più sofisticato e viene montato a bordo di veicoli, accrescendo il potenziale “di fuoco”, poiché funziona anche in movimento ed è in grado di individuare “i piedi pesanti” sia nel proprio senso di marcia, che in quello opposto. In più, attingerà ai dati degli archivi informatici per verificare se i veicoli sono in regola con assicurazione e bollo. In più, non essendo una postazione fissa, anche se temporanea, non ci sarà obbligo di segnalazione, quindi la probabilità di incappare in un controllo e di essere pizzicati aumenta esponenzialmente. Fatto salvo il famoso detto “male non fare, paura non avere”, può diventare preoccupante il fatto che molti limiti di velocità siano ormai nettamente sottodimensionati, o più probabilmente posti con pilatesco zelo dagli amministratori locali, vedasi “noi abbiamo rispettato alla lettera il Codice: sono fatti vostri”. Infatti, come ho già dichiarato in altre occasioni, pur non essendo un pirata della strada, diventa difficile in molti contesti  viaggiare a 50 o 70 km/h, soprattutto su strade statali e su tratti molto lunghi. Lo stesso dicasi in città, dove sovente il limite dei 30 o dei 50 km/h è faticosamente rispettabile senza, ribadisco senza, comportarsi da spericolati guidatori, semplicemente perché le nostre automobili hanno limiti estremamente più alti, utilitarie comprese. Con ciò non intendo caldeggiare l’abolizione dei limiti, ma spero che il personale adibito all’utilizzo di questi apparecchi sia lungimirante nel valutare e nel “tarare” il senso di pericolosità.

Si collega a quanto appena detto, la notizia sul fatto che a Torino stia per partire la sperimentazione in alcuni controviali, di una zona 20 – sì, avete letto bene – e non 30 km/h. Il nobile motivo è la sacrosanta sicurezza, ma mi domando se e come sia rispettabile al volante un limite davvero così basso. Me lo domando realmente e senza malafede. L’Assessore alla Mobilità ha spiegato che si opererà per creare “chicane” artificiali, in modo da obbligare a ridurre la velocità, dovendosi spostare da un lato all’altro della carreggiata. Sono davvero perplesso, poiché siamo in primis privi di educazione civica e stradale e ritengo che l’inasprire limiti e sanzioni serva davvero a poco. Una motivazione avvallata dall’Assessore è quella che nell’impatto tra pedone e veicolo a 20 anziché a 30 km/h, le probabilità di sopravvivenza aumentino. Il fatto è inoppugnabile, ma non vorrei che con le auto che circolano piano, i pedoni si sentissero legittimati ad attraversare “a sentimento”, valutando come molto bassa la velocità del veicolo che sopraggiunge. Insomma, se i pedoni attraversassero dove si può e i veicoli si fermassero dove si deve (viaggiando a velocità ragionevole), forse sarebbe tutto più facile, senza abbracciare teorie particolarmente astratte (di qualsiasi bandiera politica siano).

Modalità trombone on. Mi sono imbattuto, saltando da un canale tv all’altro, in un simpatico show: Singing in the car, su TV8. Il format, tutto italiano, per una volta, è tanto semplice, quanto secondo me efficace. E’ una sorta di karaoke moderno, dove il concorrente canta e partecipa anche a piccoli giochi legati alle canzoni che vengono proposte. La novità e l’elemento di discontinuità col karaoke classico? Si gioca e canta in automobile, esattamente come capita a molti di noi. La trovata è senza dubbio piacevole e d’effetto, però adesso arrivano i miei “ma”. La conduttrice-conducente è Lodovica Comello, molto brava e spigliata (forse a tratti sopra le righe, ma ci può stare), però ho trovato poco educativo il fatto che mentre è al volante – sempre – tolga continuamente le mani dal volante e talvolta lo sguardo per cantare, gesticolare, interagire con l’ospite. D’accordo è uno show, ma se la vettura non è caricata su un rimorchio, trovo che sia poco educativo come modello, in un’era in cui giovani e meno giovani sono più pericolosi alla guida a causa di telefoni e distrazioni. Sono consapevole, forse, di stare ingigantendo la cosa, però la tv è un modello per molti ed è immediata l’emulazione, magari tra amici, dimenticando che poi si deve frenare o schivare un ostacolo. E non c’è zona 20 che tenga o super autovelox, ma occorre un po’ di sale in zucca. Per tutti, me compreso. Modalità trombone off.

Pensieri rapidi#14


Non so se l’abitudine che sto per descrivere sia italiana o una “specialità locale”, nello specifico della città in cui vivo, Torino, ma constato con sempre maggiore insofferenza l’utilizzo improprio delle “quattro frecce”, soprattutto sulle strade urbane. Il lampeggio è ormai inflazionato e spesso sostituisce quello degli indicatori direzionali, in particolare quando si è in procinto di fermarsi o di parcheggiare. Il disagio aumenta, proporzionalmente al fatto che queste vengano azionate su strade strette o, magari all’improvviso. Mi provoca particolare fastidio la leggerezza con cui non si segnala a chi segue che si stia per accostare o semplicemente ci “si faccia da parte” e si possa superare senza intoppi. Ogni tanto, esasperato, provo a discuterne con il “quattrofreccista” di turno, che puntualmente mi manda a stendere, forte del fatto che lui abbia segnalato la “situazione diversa” con il lampeggio di emergenza, che a ben pensare ha già nel nome il significato del suo utilizzo. Siccome non sono ipocrita, confesso di usare anche io le quattro frecce, solo dopo aver fermato la vettura, magari in sosta e poco visibile, ma sempre dopo aver utilizzato le frecce, per far capire agli altri cosa stia facendo.

Nella casa in montagna devo utilizzare un “nuovo” box, molto meno capiente del precedente e soprattutto parecchio “giusto” nell’imboccatura e nello spazio antistante, al punto di dover entrare in retromarcia, manovrando parecchio per “centrare” l’ingresso. Mi accorgo immediatamente dell’esistenza di due scuole di pensiero, rispetto all’ingresso in box, ovvero quella “di muso” a cui appartengo storicamente e quella “in retro”, cui ho dovuto aderire forzatamente. Sono davvero due mondi differenti, che implicano una diversa percezione degli spazi e degli ingombri della vettura (soprattutto se non è una city car), soprattutto, nel mio caso implica il doversi riaffidare ai propri sensi, ancor più che ai sensori, visto che con gli spazi molto stretti e con le fiancate da “far quadrare”, l’unico vero sensore è lo specchietto retrovisore. Anche questo è un piccolo allenamento, talvolta un po’ rischioso, ma utile a ricordare che la guida e il parcheggio sono pur sempre “piccole arti”. Detto poi da uno che non ha molte preclusioni sull’elettronica, la frase acquista parecchio valore.

Ho visto, come molti, le immagini della nuova Fiat 124 Spider e il suo spot, di cui parlerò in un prossimo post. Mi voglio soffermare brevemente sul nome e sul criterio di scelta, confermando le identiche perplessità manifestate per la Tipo. Sono conscio che la scelta sia ricaduta su un nome conosciuto anche negli USA, ma pur sempre su una vettura che non è più presente sul mercato da almeno 30 anni e che quindi non ha una continuità di presenza, tanto che le ultime Spider non erano nemmeno più Fiat, bensì Pininfarina e ribattezzate “Spider Europa”. Lo stesso dicasi in Italia, dove la spider era una delle molte varianti di una grande famiglia, quella 124, dunque il nome era una conseguenza della funzione. Sono evidentemente prevenuto, ma ribadisco quanto già scritto in precedenza: quando non c’è una continuità, è giusto e sensato anche reinventare, cambiare nome. Del resto, la stessa operazione fu fatta, a mio giudizio con successo, negli anni ’90, con la Coupè e la Barchetta, nomi nuovi per modelli nuovi. Sono queste le stesse perplessità che ho nei confronti di Hyundai, che è tornata sui suoi passi, dalla ix35 a Tucson, ma è anche comprensibile, vista la similitudine della sigla con quella di modelli di altri costruttori.

3MSC – 3 minuti senza Codice


Doverosa premessa: quello che leggere è realmente accaduto.
In una mattina come tante, esco dal passo carraio per imboccare la “mia” via, non molto larga, ma a doppio senso e, alla mia sinistra, incurante della poca visibilità causata dalle auto in doppia fila, sfreccia una vettura che mi sfiora il muso. Fortunatamente mi sporgo sempre lentamente, visto che spesso i pedoni sul marciapiede ignorano un cancello che si apre.

Percorro 100m e giungo alla prima svolta, dove ho la precedenza e come sempre nessuno rallenta per darmela. Svolto e incrocio una minicar che viaggia quasi a centro strada, le “faccio i fari” e ricevo una serie di improperi. Allo stop successivo attendo per svoltare e la prima vettura che sopraggiunge, svolta senza freccia (si usano ancora?). Dopo quasi un km svolto con il verde a destra e la vettura dalla direzione opposta decide che non è fondamentale considerare che abbia la precedenza e mi “accelera sul muso”. Quasi in ufficio, a qualche km, metto la freccia a sinistra, in un punto consentito, perchè sono quasi giunto al parcheggio aziendale e da dietro mi suonano. Forse avrete impiegato più tempo a leggere, che non io a percorrere la strada. Qualche considerazione: non abito a Bombay, ma a Torino, non sono un imbranato al volante e quello che ho raccontato accade quasi quotidianamente e quasi in fotocopia.

Trascurando il fatto che qualcuno potrebbe suggerire di cambiare mezzo di trasporto o di andare a piedi, traggo questi spunti, non tanto per ergermi a paladino della legge o a modello comportamentale, ma mi inducono a riflettere ancora una volta su cosa sia la circolazione e più in generale l’automobilista medio. Tra i comportamenti che ho descritto ce ne sono alcuni che ignorano il buon senso, altri di ignoranza vera, delle regole e dei pericoli che conseguono a certi comportamenti. Chi legge questo blog avrà notato come ormai sia spesso presente questa mia vena polemica e un po’ trombona, ma è sotto gli occhi di tutti un peggioramento della qualità degli automobilisti. Nel mio caso, quello torinese intendo, non si può neppure attribuire ciò al peggioramento del traffico, giacché salvo cantieri particolari, le auto in circolazione sono sempre meno, a causa di una crisi reale e dei costi di utilizzo dell’automobile. Questo a mio avviso non autorizza però a comportarsi come degli irresponsabili, perché il più delle volte si compiono azioni per le quali non si immagina la conseguenza.

Sono consapevole che non si possa pretendere un livello di qualità di guida da piloti per chiunque, visto che per molti l’auto è il più grande elettrodomestico di casa e io rispetto anche questa visione, tuttavia vige un senso di irresponsabilità, accresciuto dal fatto di non essere totalmente concentrati sulla guida. Tengo sempre a ribadire come io non sia esente da critiche, giacché ogni tanto (per fortuna poche volte) vengo multato, pur se non per infrazioni gravi, ma mi reputo in grado di valutare e prevenire certi comportamenti altrui, provando talvolta anche un poco di frustrazione, nel dover subire, vedendo che agli altri vada sempre bene. Mi reputo uno degli ultimi romantici per i quali prendere una multa risulta come un disonore, dunque come una cosa da evitare.

Non intendo ergere questo mio punto di vista come modello comportamentale, ma rimango fermamente convinto che in circolazione ci siano guidatori troppo superficiali e di conseguenza pericolosi e, come cittadino, sono un pochino sconfortato.

Pensieri rapidi #12


Sto evidentemente invecchiando e peggiorando nel mio livello di sopportazione dei comportamenti altrui, ma credo ciò significhi che il mio senso critico stia aumentando e non debba e voglia sopportare passivamente certi comportamenti del prossimo. Lo dico perché sempre più spesso noto come al volante imperi la distrazione, dettata purtroppo dal voler fare più operazioni contemporaneamente, prevalentemente legate al telefono. Non è questo il solo fattore che mi infastidisce, perché molto spesso c’è una generica superficialità nello stare in automobile, con le mani “a casaccio”, meno che sul volante, oppure chiacchierando con il passeggero e procedendo a singhiozzo, o peggio rivolgendo spesso la testa verso il proprio interlocutore, distogliendo lo sguardo dalla strada. Sono consapevole di risultare trombone in questo mio argomentare, ma sono questi molti aspetti su cui non si dovrebbe transigere, poiché in automobile e con l’automobile non si scherza, anche se purtroppo può sembrare che la guida sia una cosa di poco conto. E’ probabile che “spostare” la vettura sia tutto sommato facile (l’ho fatto senza grossi patemi anche a 16 anni), ma è ben diverso sapersi muovere con perizia, sapendo intuire le eventuali mosse degli altri automobilisti, modo da prevenire sorprese.

Con la mia attuale vettura, mi sono trovato a percorre un tratto montano, con un certo numero di curve, anche se non particolarmente impegnativo. In men che non si dica, ho commutato la leva del cambio in posizione “sport e sequenziale” e ho settato alcuni parametri su “sport”. In due passaggi ho letteralmente cambiato il carattere della vettura, rendendola effettivamente più pronta e aggressiva, gratificando realmente il piacere di guidare: lo sterzo era più comunicativo, così come la risposta all’acceleratore era più pronta e le marce entravano con veemenza. Certo, se i cavalli e newtonmetri a disposizione fossero pochi, tutto questo sarebbe poco o per nulla gratificante, ma se sotto al cofano c’è un po’ di sostanza (senza esagerazioni, nevvero) grazie all’elettronica ci si può divertire cambiando personalità al proprio mezzo. Infatti, prima e dopo questa parentesi “brillante” sono tornato ad un morigerato Drive, accoppiato alla modalità Eco, consentendomi di consumare come su una vettura medio piccola. Non ho voluto sin qui vantarmi di nulla, ma sono felice di utilizzare molti ritrovati della tecnologia, che consentono di aumentare la sicurezza e la qualità di vita di noi guidatori, perché non va dimenticato, l’elettronica vigila sempre, mentre una piccola distrazione può capitare anche al più attento pilota. Mi troverò certamente in aperto dissenso con alcuni “duri e puri” del non-voglio-elettronica-e-voglio-tutto-manuale, che però inviterei a utilizzare senza pregiudizi le “auto del Duemila” per comprendere come oggi sia tutto veloce e tecnologico, anche nel traffico e nella circolazione, dunque desidererei sempre possedere una M3 E30 o una 320is, ma confesso che sarei un poco in agitazione in inverno e sul bagnato, soprattutto sapendo cosa offra la tecnologia oggi. Insomma, Rivera resta un calciatore fortissimo, ma nel calcio moderno, fisico e veloce, farebbe certamente più fatica a sopperire con la sua classe il tipo di gioco molto fisico e veloce dei nostri giorni.

In ultimo, una parentesi extra motoristica, che però riguarda uno dei miei personaggi preferiti, ovvero Alex Zanardi, che ieri, domenica 27 settembre ha avuto guasto tecnico, la rottura della catena della sua handbike nella maratona di Berlino e l’ha terminata spingendosi a mano. Per la cronaca, 9 km. Inutile aggiungere la grandezza del personaggio, che all’arrivo, pur se stremato ha affermato di essere in debito con Berlino (dove venne operato subito dopo il terribile incidente) e ha già dato l’appuntamento alla prossima edizione. Grandissimo Alex.

Pensieri rapidi #2


Come alcuni lettori dei miei post sapranno, mi trovo talvolta a percorrere a S.S. 20, ovvero quella che valica il Colle di Tenda, tra Italia e Francia. Ho già affrontato in altri post il problema di questo tracciato, decisamente inadeguato, come larghezza di carreggiata e portata in generale, rispetto al traffico che si trova a sopportare. Non è l’unica strada che collega il basso Piemonte alla Liguria, ma è quella che ha un ruolo importante nel connettere l’Italia con la Francia. Aggiungiamo poi che i pedaggi autostradali siano salati e che comunque per il bacino gravitante attorno a Cuneo e al basso Piemonte sia quella l’unica strada praticabile e comprenderemo l’importanza di un’arteria che ha caratteristiche del secolo scorso, anche come sviluppo del percorso. L’orografia e la scarsa importanza strategica per il sud della Francia hanno contribuito a non incentivarne il potenziamento e siamo dunque qui a trovarci con una strada che attraversa numerosi paesi, con un ricalcando la via che molto probabilmente aveva visto transitare gli avi di Napoleone Bonaparte. Questa infinita premessa mi serve per spiegare come recentemente, diverse municipalità abbiano scelto di portare avanti le famigerate “zone 30” inserendo dossi rallentatori davvero “violenti” e, al momento in cui scrivo, neppure troppo segnalati. Insomma, tutto il mondo è paese, questo forse può rallegrare chi crede che i comuni italiani abbiano idee strampalate in tema di viabilità, ma mi preoccupa constatare che certe soluzioni possano accontentare un certa fetta di popolazione, che pur vota, ma possano arrecare danni, oltre agli ammortizzatori, anche all’economia. Se tanti, molti si stancassero,anche per lavoro di transitare con enormi disagi, tra semafori e altri deterrenti alla circolazione, che ne sarebbe delle economie locali? L’isolamento non giova mai a nessuno, nemmeno a chi per motivazioni anche nobili, riduce la viabilità ad un’infinita coda che parte, riaccelera e inquina per ore. Lo so, il tema è difficile e sono un po’ provocatorio, ma vale la pena di riflettere.

Non ho la presunzione di ritenermi un modello di comportamento, sulla strada, così come nella vita, ma ho la presunzione, quella sì, di sapere molto spesso quello che sto facendo, soprattutto al volante. In questo mi aiuta sicuramente la passione e la curiosità per questo mondo, superiore, credo a quella di molti altri utilizzatori della strada. L’ignoranza, intesa nella sua accezione più ampia e genuina, è un grande nemico: del resto, ai fornelli mi sento inadeguato come accade a tanti automobilisti che incrocio ogni giorno e dei quali percepisco la difficoltà a confrontarsi con la velocità e con la visione d’insieme. Difficilmente mi cimenterei nella preparazione di un’anatra all’arancia, perché conosco i miei limiti e dovrei studiare e sperimentare prima di arrivare a quello. Con l’automobile, sembra che una volta conseguita la patente si possa fare tutto, ma non è così. Troppo spesso mi imbatto in guidatori che agiscono in ritardo sulle situazioni, perché distratti, inconsapevoli e dunque inconsapevolmente distratti: frenate scomposte, occupazione sbagliata delle corsie, accelerazioni o rallentamenti sovra o sottostimati, mancanza della previsione di ostacoli o pedoni nei pressi degli attraversamenti. Ribadisco, non mi ergo a esempio da seguire, ma da utente esperto mi accorgo più facilmente di molti comportamenti, spesso ereditati da guidatori-genitori poco attenti, altre volte da generica distrazione. L’automobile è (anche) un pericoloso oggetto, che si muove in un ambiente composto da soggetti diversi, eppure sembra che spesso ci si dimentichi di ciò. La guida è tecnica, ma si fonda in grande parte sulla vista e sulla visione. Come nella vita, è ottiene di più chi guarda avanti, di chi non vede ad un palmo dal proprio naso.

Proprio a proposito di guida, mi hanno colpito i servizi riguardanti un prototipo Audi, che ha “girato” al limite sul circuito di Hockenheim, in maniera totalmente autonoma, ovvero senza nessuno al volante, segnando un tempo tutto sommato ragguardevole. E’ solo l’ultimo esempio di quelli che forse un domani, magari un dopodomani, ma non un “mai”, potremmo considerare come veicoli di normale utilizzo. Fa un po’ paura immaginare di salire sulla propria automobile, che terrà davvero fede al prefisso “auto” e viaggerà in un traffico canalizzato. Non avverrà a breve, poiché nemmeno le normative prevedono una così esasperata autonomia dei veicoli, ma non escludo che si possa arrivare in qualche decennio ad una svolta epocale. Lo scopo è ovviamente quello nobilissimo di arrivare ad azzerare o quasi il numero di incidenti e morti, così come quello di velocizzare gli spostamenti, anche delle merci. Siamo nel campo del futuribile, più che della fantascienza e tutto ciò incute comunque un poco di timore. Non deve stupire più di tanto la cosa, poiché se saliamo su di un aereo, ci affidiamo per gran parte del viaggio alla guida autonoma che, ipotizzo, non si faticherebbe ad “istruire” per eseguire anche decolli e atterraggi senza la mano dell’uomo, ovviamente con una rete di sensori anche a terra. Sin qui non ho espresso o meno apprezzamento, anche se sono entusiasta per i progressi tecnologici. Resta immutato il mio piacere per la guida e per le sensazioni che si provano in un tratto “guidato”, ma lucidamente viene da chiedersi se stare al volante in città, in coda o in un traffico continuo autostradale sia guidare, oppure se in fondo non sia apprezzabile e rilassante avere qualcosa che ci allevia dallo stress. Fino a qualche anno fa sembravano impossibili i cruise control adattativi, mentre oggi si stanno diffondendo rapidamente: la guida autonoma non è forse già tra noi?

Lotta di classe


Lo spunto per questo post nasce da un ragionamento non mio, bensì di Siegfried Stohr, ex pilota e da anni istruttore di guida, forse tra i pionieri in Italia della cultura del “pilotaggio”, inteso come consapevolezza di se stessi al volante di un veicolo e non necessariamente come espressione pura di velocità. Nel suo blog, pubblicato sulla rivista “Auto”, Stohr si interrogava su come si considerasse sulla strada, ovvero se pedone o automobilista. Da buon divulgatore e laureato in psicologia, Stohr arrivava a concludere che egli fosse decisamente automobilista, poiché nell’atto di attraversare una strada accelerasse il passo, al fine di favorire gli automobilisti, mentre al contrario un pedone “puro” non avrebbe alterato la propria andatura per favorire alcuna automobile.

Tralasciando, ma fino ad un certo punto, il fatto che mi sia istintivamente identificato nel profilo dell’automobilista, ho apprezzato il ragionamento di Stohr perché sottende un mio ragionamento altrettanto semplice. Sulla strada non esistono categorie “chiuse”, bensì tutti dovrebbero avere consapevolezza di quello che accade, semplicemente immaginando e prevenendo le conseguenze di una propria azione. Non sono uno psicologo e forse sbaglierò a fornire esempi, ma ciascuno di noi sa che non si scherza con i coltelli, perché sono taglienti e che uno l’abbia verificato sulla propria pelle o che lo immagini osservando le forme di un coltello e pervenendo alla stessa conclusione, nessuno, dicevo transiterebbe sotto un coltello che cade. Per lo stesso motivo, che lo si sia sperimentato (spero di no) oppure lo si deduca, non si può trascurare che un veicolo che sopraggiunge non sia pericoloso e mortale e che dunque possa ucciderci. Questo per cercare di spiegare che talvolta la repentina decisione di attraversare una strada, di svoltare in bicicletta o di spostarsi improvvisamente sulla carreggiata, dovrebbe essere in primis evitata e secondariamente ragionata, per il fatto che non “abusare” della possibilità di essere visti, anzi ciò può far sopravvalutare il contrario. Non sto sostenendo che l’automobilista abbia sempre ragione grazie alla mole del suo veicolo, che può essere “sovrastato” a sua volta dal guidatore di un camion e così via, tuttavia attraversando sulle strisce occorre(rebbe) considerare se sia più vantaggioso far frenare bruscamente il veicolo che magari è troppo vicino, piuttosto che passare. Non va trascurato, anzi ribadisco che il CdS impone che l’automobilista sia già preallertato al sopraggiungere delle strisce, ma tra la teoria e la pratica quotidiana, che “smussa” e adatta le regole, trasformandole in “gentlemen agreements”, necessita che ci si cauteli e si conviva con le regole della “giungla”. Sarà anche una sconfitta delle Regole, ma la realtà è questa e conviene che ognuno operi con la massima responsabilità.

Per non uscire di tema, Stohr, nel suo esempio considerava le strisce pedonali e la relativa fermata degli automobilisti, quindi sottintendeva un esempio di civiltà e non un caso limite come ho fatto sinora. Mi piace però immaginare che, come ho già più volte sostenuto, più che il CdS si tratterebbe di conoscere le regole di convivenza quotidiana, cosa che per gran parte di noi significa vivere sulla strada, ma pensare al codice non come limitato alla circolazione, ma esteso ai comportamenti e alle conseguenze.

Sarebbe infatti utile, ad esempio, che l’automobilista ragionasse da ciclista, per non stringerlo a destra o sorpassarlo pericolosamente radente, oppure che il ciclista fosse consapevole del fatto che le automobili hanno una diversa percezione di chi viaggia su due ruote. Potrei proseguire nel parallelismo pedoni-ciclisti e viceversa, ma probabilmente giungerei alla conclusione che certe buone maniere non abitino nei codici, ma nel bagaglio di ciascuno di noi e basterebbe un piccolo sforzo cognitivi ed educativo di tutti, per apportare grandi benefici a tutti.

Mi sovviene una citazione di Arrigo Sacchi, ottimo allenatore di calcio e tattico, praticamente senza un passato da calciatore, cosa che talvolta qualche critico a lui avverso gli rinfacciava. Orbene, Sacchi per mettere a tacere le critiche replicava che “per essere un buon fantino, non è necessario essere stato un buon cavallo”. La citazione, che mi ha sempre suscitato ilarità sebbene contenga una certa dose di saggezza, andrebbe invece ribaltata o ampliata per sostenere quanto io ritengo più importante. Se è vero che per essere un buon ciclista non si dovrebbe essere un buon automobilista, mi piace pensare che invece sia indispensabile conosce le “mosse dell’avversario” per saperle fronteggiare, che sulla strada si traduce non in una sfida, ma in una pacifica convivenza tra individui.

Volete sapere come Stohr cataloghi quelli che da pedoni fanno i prepotenti con le automobili e in auto fanno lo stesso con i pedoni? Inizia con la “S” e non promette nulla di buono… Parola di pilota, di psicologo e di blogger.

Pensieri rapidi


Sono in autostrada a circa 120 km/h, ho il cruise control inserito e non c’è molto traffico. Sorpasso una colonna di vetture che procede nella corsia centrale. Sopraggiunge, non troppo velocemente, un’altra vettura, che si accoda senza tallonarmi. Durante la manovra guardo nei retrovisori e la vettura è là, più o meno a distanza e non accelera. Superate le vetture rientro verso destra. Con calma l’auto mi supera e si allontana. Fin qui, nulla di strano. La vettura era straniera (Belgio) e la stessa situazione si è ripetuta con altri guidatori di paesi nordici. Quindi? Il mio stupore è derivato dalla civiltà di chi è abituato ad essere un po’ più rispettoso degli altri, mentre noi, avremmo fatto un generoso uso di fari abbaglianti, sapendo che chi è di fronte a noi avrebbe ceduto il posto come neppure si fa nei Gran Premi di Formula 1. Il resto? Continuate la lettura.

Affronto una strada statale, in salita, con numerosi tornanti, intervallati da rettilinei, alcuni brevi, altri un poco più lunghi. La vettura dinanzi a me, dapprima compie un sorpasso, che io effettuo poco dopo, poi, tra un tornante e l’altro, complice il carico o chissà cosa, rallenta vistosamente. Consapevole della quantità di strada che ancora devo coprire e approfittando della visibilità, all’uscita del tornante la sorpasso “di potenza”. Due curve più in altro, la Polizia Stradale, accuratamente appostata, mi ferma e mi multa per aver oltrepassato con due ruote la striscia continua. Vero, nulla da eccepire, non posso negare l’evidenza. Due considerazioni: sono stato poco paziente, ma se il guidatore che mi precedeva avesse avuto consapevolezza di viaggiare a 30 Km/h e avesse accostato di un metro, sarei potuto passare. Il buonsenso e il Codice non sempre viaggiano di pari passo.

Alcuni comuni della Provincia di Cuneo, che io attraverso nei fine settimana estivi per recarmi in Liguria, hanno deciso di installare i famigerati “funghetti”, ovvero torrette rosse con all’interno autovelox e telelaser. Fin qui nulla di particolare, anche se come si sa, alcuni Giudici hanno emesso sentenze contrarie a questi apparecchi. Dimenticando questo “particolare”, la caratteristica di tali “funghi” è quella di essere posti al termine di rettilinei di strada statale, dove il limite 90-70-50 km/h viene modificato in poche centinaia di metri o al più il posizionamento avviene non dove “ci sono le case”, ma qualche centinaio di metri prima, con magari problemi di percezione visiva. Detto così, rischierei di apparire come un pirata della strada o uno che non abbia intenzione di rispettare le regole, ma il problema è che con un limite così basso, 50 km/h, è davvero molto facile trovarsi a tardare il rallentamento e versare cospicue somme a chi installa gli apparati. Le auto moderne, a 50 Km/h, in particolare su strada statale, danno la sensazione di essere ferme, più di quelle di 40 anni fa. Morale della favola: ho smesso di attraversare i paesi e percorro l’autostrada fino a Cuneo, pagando un pedaggio di qualche euro superiore e non alimentando queste slot machine da strada statale.

Rispetto alle “trappole” precedenti, preferisco i sistemi tipo “tutor”, i quali permettono di mantenere andature costanti e dovrebbero per questo motivo, aiutare la fluidificazione del traffico autostradale, con una guida “da cruise” che tanto mi piace. Peccato che dopo anni ci sia, ancora, chi frena quando arriva all’altezza del portale, come se potesse annullare con un colpo di stop, le sue malefatte, senza trascurare che alle sue spalle sopraggiungano altre vetture.

Ultima “nota polemica”, prima di chiudere. Le “zone 30”, ovvero una delle recenti soluzioni dei sindaci italiani, per ingraziarsi i non automobilisti e dare un tocco di nordicità alle nostre città. Non sono un fanatico dell’automobile e non odio i ciclisti e i pedoni, anche se molti di loro si comportano male alla stessa maniera degli automobilisti. Ritengo il limite dei 30 km/h un pochino ipocrita, così come è poco utile costellare interi quartieri con dossi e rialzi talvolta ridondanti. So che scuole, ospedali, giardini e parchi giochi vadano in qualche modo tutelati, ma ritengo che troppo spesso la moderazione del traffico, fatta attraverso queste operazioni, sia una procedura di comodo. Il peggio poi avviene quando all’entusiastica inaugurazione, segue l’assente manutenzione, che porta ad avere dei percorsi minati, anzi bombardati. Forse, più delle Zone 30, servirebbero delle campagne di educazione stradale e civica, fin dalle elementari. Fatta l’Italia, bisogna (ancora) fare gli italiani.

Si-curezza, sì


Lo spunto per questo post è un episodio di vita vissuta “in coda”. Alla guida di un maxi scooter un papà col proprio figlio preadolescente, entrambi con il casco, ma il figlio, che ovviamente era il passeggero, non lo aveva allacciato. Proprio così: nel 2013 sono ancora moltissimi quelli che indossano il casco senza allacciarlo, fattore che ne vanifica totalmente l’utilità e il senso. A parte le considerazioni sul “fastidio” che un cinturino possa arrecare al mento, soprattutto se paragonate ai vantaggi, mi ha amareggiato il fatto che un padre non si curasse della sicurezza del proprio figlio. Ciò è secondo me sintomatico di una certa indifferenza e ignoranza rispetto alla sicurezza in strada, ma aggiungiamoci pure una punta di egoismo, alla propria sicurezza. In barba a ogni legge e obbligo, se so di potermi proteggere, perché non lo faccio? Sono ormai molti anni che l’uso del casco è divenuto obbligatorio e anche esclusivamente per  “emulazione” si potrebbe dedurre che forse, dico forse (ironicamente), a qualcosa possa servire.

Lo stesso ragionamento può essere applicato all’uso della cintura di sicurezza, visto che sono parecchie le persone che non ne fanno uso e la cosa mi sembra davvero assurda. Sono molti quelli che sostengono “Ma sì, faccio pochi metri” e non la allacciano, ignorando che forse potrebbero agire così se viaggiassero nel proprio cortile, ma dal momento che sulla strada le variabili e le incognite sono infinite, il rapporto rischio/fastidio, pende a mio parere sul primo dei due fattori.

Un altro fenomeno, purtroppo non in diminuzione è quello del trasporto dei bambini, che avviene addirittura in braccio al passeggero anteriore o in piedi sul sedile posteriore. Sono certo che “placare” i capricci di un bambino non sia semplice e che lo stress di un genitore abbia molteplici fattori che vanno ad alimentarlo, ma ogni volta che vedo una mamma con il proprio bimbo in braccio sul sedile anteriore sono pervaso da un senso di tristezza, di sconfitta, perché penso, non augurandolo certamente, che se dovesse accadere qualcosa, le conseguenze sarebbero tragiche, in quanto in caso di incidente non esiste forza umana in grado di trattenere a sé un corpo solo con la forza delle braccia. Se poi aggiungiamo che le decelerazioni sono improvvise e imprevedibili, va da sé che “l’effetto sorpresa” si presenterebbe come aggravante; figurarsi inoltre se la vettura è provvista di airbag lato passeggero, che con l’esplosione e il gonfiaggio che vanno giustamente nella direzione del passeggero. Insomma, molto spesso penso che se certi episodi e certi comportamenti non si concludono con conseguenze gravi, sia perlopiù dovuto a coincidenze e non alla perizia di qualcuno, ergo non bisogna affidarsi al caso.

Un altro pessimo costume, non esclusivamente italiano, giacché l’ho potuto rilevare anche in altre nazioni europee, è quello dell’appoggiare, da parte del passeggero, i piedi sulla plancia, in una posizione estremamente sdraiata. Al di là di ogni deviazione feticista, visto che spesso sono le esponenti del gentil sesso a cimentarsi, qui che si indossi la cintura o meno, il suo effetto potrebbe essere vanificato dalla posizione che porterebbe a scivolare al di sotto della “benefica morsa”, quindi in soldoni, a farsi male. Qualora anche funzionasse la cintura, provate a pensare ad una brusca decelerazione con le gambe a terra o con le gambe in alto: sarebbe un pochino più dolorosa, vero?

Tutto questo per citare alcuni dei comportamenti pericolosi, ma se ne potrebbero aggiungere molti altri, catalogabili nella categoria “cattivi costumi”, come la svolta senza freccia (molto gradita dai dueruotisti), la svolta con allargamento come se si possedesse un rimorchio,  la frenata ritardata o quella eccessivamente preventiva, l’attraversamento da parte di pedoni e biciclette “a sentimento” e magari nemmeno troppo nei paraggi delle strisce pedonali e così via.

Dal momento che siamo un paese non molto rispettoso delle regole e mi ci includo anche io, che magari sulle strade statali mi avvicino parecchio a chi mi precede per “strappare” un sorpasso in più o magari eccedo in velocità su alcune strade extraurbane (quelle con le curve, in particolare), mi domando se forse non ci sarebbe la necessità di una certa educazione. Non voglio apparire bacchettone o iper moralizzatore, però per quanto mi riguarda ho imparato fin da bambino ad utilizzare la cintura di sicurezza e il casco sulla bicicletta. Sono comportamenti ormai trasformati in gesti naturali e li compio senza quasi pensare, al pari  dell’uso, da qualche anno, del casco sulle piste da sci e da quel momento non riuscirei più a stare senza. Sarebbe meraviglioso assistere ad una spinta all’educazione anche in questa direzione, che riguarda la sicurezza e il rispetto per se stessi, nonché per la società, visto che tutti paghiamo spese sanitarie e pensioni di invalidità, ma parallelamente le Forze dell’Ordine dovrebbero esercitare una doverosa azione di prevenzione, anche con qualche multa, giacché la pacca sulla spalla finisce con il perdere di significato.

Penso che un briciolo di “timore della punizione” dovrebbe e potrebbe servire per ristabilire un rapporto tra cittadino e autorità, senza repressione, sia chiaro. Sono consapevole che dell’utopia presente in certi ragionamenti e credo che prima di tutto sarebbe necessaria una corretta educazione di ognuno di noi, in famiglia e a scuola. Da quasi 40enne, sono cresciuto in un periodo in cui automobilisticamente parlando, la sicurezza era praticamente nulla: niente seggiolini, niente cinture, poggiatesta, auto a deformazione programmata. Sono e siamo sopravvissuti tutti o quasi, ma questo non vuol dire che non abbiamo magari inconsapevolmente scherzato con il fuoco e guardando oggi all’indietro, un po’ di brividi vengono.

Respect


L’apertura col il titolo di una celeberrima canzone di Aretha Franklin, nonché di uno slogan della Fifa in tema di fair play, è un’ottima sponda per tornare a esplorare un tema già affrontato in un post dei mesi scorsi. Se volessi essere ironico, potrei citare l’eterna lotta tra automobilisti e ciclisti, parafrasando quella tra bene e male. Il punto è che qui non esistano bene o male, bensì vite umane, in particolare quelle di ciclisti e pedoni, che non vanno mai trascurati e che pagano il prezzo di comportamenti incivili di alcuni automobilisti, che però io vorrei analizzare come semplici esseri umani, al pari di ciclisti e pedoni.

Ho menzionato il concetto di rispetto, perché ne colloco la mancanza alla base di molti episodi che purtroppo vanno a riempire la cronaca nera. Io non vivo la convivenza tra automobilisti e ciclisti come una guerra di religione, perpetrata tra chi è nel giusto e chi sbaglia, con la conseguenza di pagarne l’onta. Ritengo, e la quotidianità me ne offre ampi spunti, che ci siano comportamenti scorretti da entrambe le parti, con l’ovvia conseguenza che chi pesa una tonnellata possa infliggere danni irreparabili a chi non sfiora nemmeno il quintale ma, non di meno, la leggerezza e l’estrema maneggevolezza della bicicletta non autorizza chi la conduce a compiere qualsiasi manovra gli venga in mente. La nostra cultura stradale e il rispetto del tanto vituperato Codice della Strada sono poco radicati in noi e di certo male insegnati sia a scuola che a scuola di guida. Siamo distanti anni luce da paesi (nordici) nei quali la convivenza civile è ben radicata o, se preferiamo, viene fatta rispettare. Su queste basi di civiltà, molte città europee sono state rese più sicure e adattate alla circolazione delle biciclette e la convivenza con pedoni e automobili è regolamentata e sicura.

Torno a sottolineare il concetto di veicoli anche per la bicicletta, poiché se ragionassimo interpretando la bicicletta come tale, riusciremmo a mio avviso a utilizzarla al meglio e i nostri amministratori dovrebbero così trattarla alla stregua degli altri veicoli, dedicando a essa adeguati spazi. Il mio ragionamento, apparentemente ingenuo e semplicistico, scaturisce dall’osservazione di comportamenti inequivocabilmente poco educati e prudenti di numerosi ciclisti, che pedalano contromano e imboccano vie e marciapiedi, mettendo a repentaglio la propria vita e creando situazioni di panico e pericolo per gli altri utenti della strada, pedoni inclusi. Lo stesso vale per gli automobilisti che svoltano, incuranti della bicicletta appena sorpassata e anzi, la “chiudono a destra”; altri ancora parcheggiano bloccando passaggi riservati alle piste ciclabili, oppure ancora sfrecciano ad alta velocità, creando pericolosi spostamenti di aria per il ciclista sorpassato. Sono questi comportamenti, non disattenzioni bensì a mio giudizio espressioni di “ignoranza”: del Codice, del buonsenso, degli altri in generale. Ecco quindi il succo del discorso: che si guidi un’auto, una bicicletta o si cammini, siamo in fondo sempre noi italiani, con la nostra mentalità “creativa” ad adattarci alle situazioni. Banalizzando, se siamo un popolo che rispetta poco le regole, ahimè rischieremo di farlo in molti campi, se non in tutti. Da cui la necessità di un buon sistema di insegnamento abbinato ad un valido sistema repressivo delle infrazioni, non una Gestapo, piuttosto un’autorità che facesse rispettare le regole che già esistono. Basterebbe poi, molto semplicemente che ciascuno di noi cercasse di “fare la propria parte” guidato dal buonsenso e, a mio avviso le cose migliorerebbero parecchio.

A proposito delle guerre di religione di cui sopra, mi ha colpito qualche mese addietro, un’aspra e velenosa critica da parte di un rappresentante delle associazioni di ciclisti nei confronti del direttore di Quattroruote, che auspicava l’introduzione del casco obbligatorio in bicicletta. Sono stati rivolti insulti e critiche piuttosto pesanti ad un’idea che reputo tutt’altro che malsana. Il ruolo del casco non sarà certamente quello di una corazza protettiva, ma rappresenta pur sempre una protezione della nostra preziosa scatola cranica. È stato affermato e qui non ho gli strumenti per controbattere,  che il casco potesse addirittura creare maggiori danni in caso di cadute e sono stati citati esempi anche di ciclisti professionisti, periti in gara (a 60-80 km/h, forse anche oltre) con il casco in testa. Premettendo che sono stati conteggiati anche casi dei ciclisti morti in cadute quando non era obbligatorio per i professionisti un dispositivo fondamentale come il casco,si è secondo me perso il senso del discorso. Il casco non serve a proteggersi da urti contro una vettura (nemmeno una Smart può “resistere” ad una Q7) bensì dalle cadute o perlomeno riduce i traumi attutendo il colpo.

Nell’ambito della mia modestissima opera di sensibilizzazione, cito l’introduzione dell’obbligatorietà del casco tra gli sciatori sotto i 14 anni, che credo non abbia scandalizzato nessuno anzi, abbia contribuito alla diffusione tra gli sciatori non professionisti, al punto che per molti (compreso il sottoscritto) il casco è divenuto parte integrante dell’equipaggiamento.

Sarebbero numerosi i ragionamenti sul tema della sicurezza stradale e dei comportamenti da tenere in presenza di altri, a prescindere dai mezzi ed è per questo motivo che a mio avviso molto debba riguardare il concetto di rispetto. Chiaramente ho fatto molte semplificazioni a proposito di un problema, quello della sicurezza stradale urbana, particolarmente percepito e che nei prossimi anni, con una crescente coscienza ecologica e con un progressivo aumento dei prezzi dei carburanti, andrà sempre più acuendosi. Non penso che arriveremo nel breve termine ad avere città in cui saranno bandite le automobili (e nemmeno lo vorrei), così come non è giusto che i ciclisti si possano sentire pesci fuor d’acqua a circolare sulle nostre strade, quindi la soluzione va ricercata nella coscienza civile di ognuno di noi.

Io ce l’ho più alto


Perdonate l’apertura dalle possibili interpretazioni triviali, ma garantisco che non scriverò nulla di volgare in questo post. O perlomeno credo, viste le moltissime implicazioni e i riferimenti fallici associabili allo strumento automobile, in particolare nei confronti dei complessi di inferiorità del maschio. Si astengano dunque da emettere giudizi gli esperti di psicanalisi e torniamo in carreggiata. Scoprirò probabilmente l’acqua calda, ma nella guida cittadina sovente mi accorgo che il possedere un cofano ancor più alto, che non prospiciente, aumenti il senso di sicurezza e alimenti quello di “superiorità”.
E’ indubbio che il tema, soprattutto a causa di comportamenti poco civili, finisca col sollevare infinite discussioni e cercherò di tener fede al titolo del mio blog. Interpretiamo dunque questo pensiero come una mia autoanalisi.
Pur non possedendo una monumentale Audi Q7, mi accorgo che al volante del mio crossover si manifesti quasi involontariamente, il desiderio di brandire la mia mascherina, poco più alta della media delle auto, come monito minaccioso. Non mi accade sempre, giuro, tuttavia il muso alto e la conseguente massa della vettura, mi inducono, come ritengo accada anche ad altri, a “puntarla” verso chi ha appena fatto un torto o crea qualche fastidio al volante.
Ci si può riallacciare al post “su con i suv” e non vorrei smentire quanto scrivevo a proposito dell’arroganza dei proprietari di quei veicoli. Sono considerazioni che scaturiscono in maniera spontanea e delle quali mi rendo conto, cerco di fare tesoro di questa autoanalisi affinché non si verifichino.
Pare manifestarsi un meccanismo simile a quanto avviene nel calcio, quando il difensore marca in maniera più serrata l’avversario e come si dice in gergo, gli “fa sentire” la sua presenza. Proseguendo la similitudine, il giocatore sa che potrà stare addosso all’avversario, ma non dovrà commettere falli, pena la sua ammonizione.
In auto non siamo in gara con gli altri e ci troviamo spesso sotto stress, dunque è consigliabile non farsi mai trasportare dalla foga e cedere ai peggiori costumi.
Resta il fatto che con la sempre maggiore diffusione di veicoli dall’aspetto muscoloso, i comportamenti alla guida stiano mutando e il senso di protezione offerto o percepito, dai suv e dai crossover, trasformi in spavalderia l’agire di chi si trova al loro volante.
Non giustifico, ripeto, non giustifico il comportamento, però confesso di averlo compreso meglio, da quando guido seduto un po’ più in alto.

Ciò detto, non muto di una virgola quanto espressi nel post riguardante i suv.  Se qualcuno non fosse d’accordo, me lo dica in faccia, anzi in cofano…