Archivio | Maggio 2014

The sound of…


Non so se sia il caso di richiamare la stupenda canzone di Simon & Garfunkel, intitolata appunto “The sound of silence”, ma uno degli argomenti che ultimamente tengono banco tra gli appassionati è quello del rumore delle automobili. Il grande pubblico probabilmente se n’è accorto solamente da quando è iniziato il Campionato Mondiale di Formula 1 , che quest’anno è testimone di una profonda rivisitazione tecnica, che ha portato allo stravolgimento del regolamento nell’ottica, sacrosanta, di portarlo sempre più dalla parte dei produttori automobilistici. Da quest’anno non si parla più di motori, ma di “power unit”, ovvero di unità motrici, costituite da motore termico e motori elettrici, ovvero quello che sulle strade di tutti i giorni definiamo vetture ibride. Per avvicinarsi ancor più alla produzione di serie (del prossimo decennio, non quella attuale) anche la cilindrata del motore termico è scesa dai 2400 ai 1600 cm3, così come il frazionamento è adesso di 4 cilindri, in luogo degli 8 o addirittura dei 10 – 12 di ormai parecchi anni or sono.

In assoluta coerenza con l’evoluzione della tecnica attuale, si adotta il turbocompressore e ci sono dei “super” motori elettrici, pertanto la potenza complessiva non è totalmente dissimile da quella dello scorso anno. Ciò che balza subito all’occhio, anzi all’orecchio, è che le vetture non emettano più un rumore “racing” come quello della passata stagione e che il tutto sembri meno Formula 1 e più “formula aspirapolvere”. Tralasciando le facili ironie e semplificazioni, è innegabile che le vetture attuali, raggiungendo comunque regimi di rotazione assai elevati, ma inferiori al passato, abbiano perso la sonorità metallica, anche un po’ ”ignorante”, che era lecito aspettarsi dal top del motorismo su strada. La “colpa” è sia del frazionamento a 4 cilindri, sia dell’intervento della turbina, che iniziando a soffiare, “ruba” gas di scarico e pressione al motore, contribuendo a mutarne il suono. Ho un po’ banalizzato, ma il risultato è quello di avere una Formula 1 più silenziosa, anzi silenziata, rispetto anche alle GP2 che gareggiano prima del campionato maggiore.

C’è chi giustamente sostiene che questo sia il “suono della modernità”, dunque sia esclusivamente una questione legata al doversi riabituare, ma parallelamente anche rassegnare a quello che per i prossimi anni sarà la Formula 1 e di riflesso le auto di serie, molto più “addomesticate”. Non intendo dipingere scenari nefasti, giacché come si sa io guardo sempre con curiosità verso il futuro, che spesso è foriero di novità, ma senza spingersi troppo in là, guardate la BMW i8: motore termico, motore elettrico, 1500 cm3. Ricorda qualcosa? E’ l’inizio di una rivoluzione?

E’ indubbio e sarei ipocrita sostenendo il contrario, che fossi “affezionato” al rumore delle F1 “termiche” anzi, dal momento che ormai ho qualche capello grigio, posso dire quanto fosse bello sentire i 12, i 10 e gli 8 cilindri, in quel breve lasso di tempo in cui in Formula 1 ci fu la possibilità di perseguire ciascuno il proprio “credo”, prima di cedere al budget e alla massimizzazione dei profitti. I motori erano dunque la bandiera tecnologica di ciascun costruttore, che dimostrava di credere in quello che produceva. Lo so, erano altri tempi e il progresso impone di non voltarsi indietro.

Discorso analogo, quello che mi è capitato di fare qualche giorno fa con un altro appassionato, di fronte ad una Bmw M3 e92, ovvero quella che è stata appena sostituita dalle M3 e M4. Si conversava sulla preferenza dell’una o dell’altra e lui affermava di preferire la 8 cilindri, rispetto alla 6 cilindri turbo, in ragione anche del rumore prodotto. Premettendo che per me la scelta sia paragonabile alla domanda “vuoi bene al papà o alla mamma?”, quindi dalla risposta impossibile o che implica lo strappo di una parte del cuore, trovo che la “6 turbo” sia ovviamente più attuale e più educata, viste la moltitudine di regole da rispettare per i motoristi nei confronti delle emissioni. Chiaramente, l’urlo metallico dell’otto cilindri è inevitabilmente più selvaggio del sei, ma una volta “rieducato “ l’udito, non si può affermare che anch’esso sia poi così male, anzi. A scanso di equivoci, i tecnici BMW hanno conferito alla M3 un suono in grado di far comprendere che si tratti di una versione vitaminizzata, al pari di quelli Mercedes che hanno “accordato” il motore della nuova Classe A AMG, su tonalità inequivocabilmente più aggressive. La stessa Abarth, in ossequio alla propria tradizione, offre terminali che “suonano” davvero bene, forse non per percorrere 200 km in autostrada, ma per divertirsi tra le curve in stile rally.

Mi collego nuovamente alla Formula 1, dove pare si stia studiando qualche artificio tecnico per far produrre più rumore alle vetture, in un lontano parallelismo con le auto di serie, laddove alcune riproducono all’interno più rumore di quanto ne facciano all’esterno, rappresentando comunque una soluzione appagante per chi è al volante. L’equivalente tecnologico della cartolina dei raggi che da piccoli avevamo sulla bicicletta, adottato in questo caso per bypassare molte delle restrittive normative che incombono sull’automobile.

Penso che questo sia solo l’inizio, perché se spostiamo il ragionamento sull’elettrico, che è silenzioso per definizione (salvo un certo ronzio), il dibattito è aperto, giacché sono molti i tecnici che si stanno interrogando rispetto ad un futuro fatto solamente da auto elettriche, nel quale non si preveda un minimo di rumore, affinché soprattutto pedoni e ciclisti possano avvertirne l’approssimarsi.

Sembra un paradosso, ma l’automobile, nata scoppiettante e rumorosa, sempre più silenziata e ammutolita, pare debba a un certo punto tornare ad essere “rumorosa” affinché non diventi persino pericolosa.

Guida&sfida


Esistono argomenti per i quali le critiche, soprattutto se mosse dal gentil sesso verso gli uomini, suscitano una sorta di atavico istinto alla ribellione, all’offesa, alla lesa maestà. Provate a insinuare al maschio medio che non sia capace di guidare e provocherete in lui un moto di sdegno e un riflesso immediato di picchiarsi sul petto come i gorilla di montagna. Noi, mi ci metto anche io, per giunta appassionati di automobili, non ammettiamo critiche sulle nostre capacità, perché (chi più chi meno) viviamo spesso proiettati nel mito di Ben Hur alle gare di bighe e approcciamo la strada con un spirito da cavalleria risorgimentale.

Ho volutamente e provocatoriamente enfatizzato, ma effettivamente i comportamenti che spesso teniamo sulla strada poco hanno a che vedere con il buonsenso e bisognerebbe riflettere a lungo, prima di compiere manovre o assumere comportamenti dissennati. L’ho già sostenuto altre volte: manca da noi, in Italia, una cultura dell’educazione, complessiva e stradale, giacché non è (sarebbe) esclusiva materia di chi guida, la conoscenza delle regole di convivenza sulla strada. Ritengo che difficilmente un pedone scriteriato possa essere un ciclista educato o un guidatore accorto, poiché in fondo le regole e il rispetto del Codice della Strada, dovrebbero valere per tutti. Sto generalizzando, sebbene non ritenga di scrivere eresie, dal momento che è sufficiente fare un giro per le vie del centro di una città e notare che anche la moltitudine di novelli ciclisti si comporta pressappoco come gli omologhi guidatori con cui talvolta finiscono in conflitto. Lo so, il risultato è quello di una “guerra tra poveri”, mentre dovrebbe prevalere la conoscenza delle regole e del mezzo che si sta utilizzando.

E’ per questo motivo che da appassionato di automobili e di tecnica ho accettato con piacere l’invito a partecipare a Guida&Sfida, un evento organizzato a Torino dal Gruppo Spazio, nel week end del 17 e 18 maggio. Con il pretesto, la cornice della sfida, c’era l’occasione ghiotta di apprendere nozioni di guida sicura, simulando condizioni di difficoltà che si possono riscontrare su strada. Grazie a istruttori professionali, sono state illustrate le tecniche di base per affrontare curve e frenate in condizioni di scarsa aderenza, il corretto uso dei freni e la posizione delle mani sul volante. Detto così, potrebbe apparire tutto molto scontato, ma come sostiene chi è ben più colto di più di me in materia, la guida è fatta di tecnica e solo con la sua corretta applicazione si conduce il mezzo in sicurezza. Ripeto, sicurezza, senza pensare immediatamente alla guida sportiva. Ritengo sia capitato a tutti, pur non percorrendo una prova speciale del Rally di Montecarlo, di incappare in situazioni di scarsa aderenza, magari in curva o di dover scansare un ostacolo. E’ vero che molti di noi sono assisti da Santa-Elettronica-sempre-sia-lodata, ma possedere nozioni utili a sterzare e pigiare correttamente sul freno rappresenta un valore aggiunto. Non dimentichiamo che l’elemento umano è ancora quello che prende le decisioni più importanti (in attesa che vengano commercializzate le auto con guida autonoma o con un maggiore grado di interventi elettronici automatici).

Tornando a Guida&Sfida, terminata la lezione di teoria si è passati ai fatti, sul circuito appositamente allestito in un piazzale della Concessionaria Spazio: partenza, un “otto”, un 180°, una piega a destra, un altro “otto” e traguardo. Il tutto per un tempo intorno al minuto, con i “bravi” circa 10 secondi sotto e gli altri più o meno a salire. I “cavalli” a disposizione per completare il rodeo erano delle Fiat 500, appositamente predisposte con i “malefici” carrelli piazzati sulle ruote posteriori. In pratica i “marchingegni” rendevano la vettura esageratamente sovrasterzante e il gioco consisteva proprio nel compiere il percorso in maniera pulita, ovviamente nel minor tempo possibile e senza abbattere i coni, che avrebbero costituito penalità in secondi.

Esattamente come nelle questioni sentimentali, la teoria non era difficile da assimilare, mentre la pratica richiedeva un po’ di perizia. Ciascun partecipante aveva a disposizione due giri, il primo di prova e il secondo cronometrato, che sarebbe andato a comporre la classifica: due turni il sabato e uno di domenica, con la “finale” da disputarsi la domenica pomeriggio. A fianco, ovviamente, vi era sempre l’istruttore, pronto a dispensare consigli. L’intero esercizio si svolgeva in prima marcia, ma il fatto era ininfluente, poiché non si trattava in primis di una prova di velocità, secondariamente perché la perdita di trazione sul posteriore si manifestava con una decisione tale da rendere la vettura già difficilmente gestibile. Il “segreto” per far fruttare al meglio il giro risiedeva nel saper “giocare” con il gas, in modo da trasferire aderenza al posteriore al momento giusto, evitando dunque la “scodata” o peggio il testacoda, sempre in agguato.

La mia prova? Non credo sarebbe stata da record, ma certamente ho peccato inizialmente di eccessiva prudenza” e nel giro buono ho commesso un errore che, su un tracciato così breve è stato ovviamente fatale. Essendo alla mia prima esperienza in materia, avrei voluto provare di più, ma le regole sono regole e vanno rispettate, quindi onore e chi è stato pulito sin da subito.

I complimenti vanno dunque a Nicolò Leardo, Roberto Romeo e Gabriele Grifone, che si sono classificati primo, secondo e terzo con il tempo di 45”,07 – 47”,29 e 47”,83, senza dimenticare Vittoria Bruno, prima donna classificata al 12° posto. Da notare che sino all’ottava posizione i concorrenti non sono incappati in penalità, quindi hanno sapientemente interpretato il percorso.

Per quanto poco possa sentirmi competitivo, il pensiero va già alla prossima edizione e alla voglia di “riscatto”, ma ciò che importa è che mi sia divertito e che abbia sperimentato qualche utile esercizio, ribadendo il concetto che certe tecniche andrebbero insegnate sin dalla scuola guida o con un “richiamo” obbligatorio: ne trarremmo giovamento tutti.

Piano, piano


Considerazioni non richieste sul nuovo Piano Industriale FCA. Ho atteso con curiosità la presentazione del 6 maggio, dal momento che sin dalla costituzione di FCA, era stato sottolineato come proprio il 6 maggio avrebbe rappresentato una data simbolica, una sorta di nuova rinascita. Da torinese, da italiano, da contribuente e da appassionato, non ho potuto rimanere indifferente ai piani di quella che è la più influente azienda italiana e che con la sua politica industriale è strettamente legata alla politica e all’economia del nostro Paese.

Mi propongo di filtrare una punta di malafede, ma non credo si possa essere scevri da ogni pregiudizio, dopo innumerevoli annunci e proclami, che hanno “rilanciato” il Gruppo numerose volte, perlopiù a parole. Intanto va dato atto alla dirigenza Fiat dell’ottima idea avuta sia con il divorzio da GM anni or sono, sia nell’aver annusato il matrimonio con Chrysler, segno dell’ottima visione economico finanziaria della dirigenza. Quello che invece ho sempre giudicato con scarsa fiducia è l’abilità nella manipolazione del prodotto, che è poi fondamentale, visto che la Fiat è un’industria e non (solamente) un gruppo finanziario. Ho già avuto modo di esprimere perplessità riguardo alla lenta agonia dei modelli, riscontrabile quotidianamente con i “buchi” nei listini e confutata da un fatto: quando sono stati presentati nuovi prodotti, 500L su tutti, il successo di vendita è stato notevole, segno che se i modelli ci sono e sono freschi, il mercato li premia. Lo ribadisco ulteriormente: il Gruppo è in ritardo in molti segmenti, come ad esempio i suv compatti e una vettura che sostituisca la Punto, senza arrivare alla Bravo: soprattutto in Europa, Polo, Fiesta e 206, confermano che una domanda su questo genere di vettura c’è e “fa numeri”, quindi la si può integrare, ma non sostituire, con i nuovi suv compatti, che grande successo stanno avendo.

Ancora due osservazioni, prima di approfondire gli altri argomenti: le reazioni delle borse sono state piuttosto nette e tendenti alla diffidenza. Il giorno seguente la presentazione del Piano, i titoli hanno perso sino al 11% e sono avvisaglie dei mercati che non si “fidano” delle affermazioni e delle prospettive di crescita. Vedremo: le borse sono talvolta “umorali” e magari premieranno le decisioni dei Marchionne boys. L’altra considerazione è che ormai, come si intuiva già da recenti affermazioni dei vertici Fiat, pardon FCA, possiamo considerare estinto il marchio Lancia, almeno nella forma in cui ce lo saremmo immaginato. Si proseguirà sino a fine ciclo con Ypsilon e pare con Thema, ma non ci saranno rimpiazzi e rimarchiature di veicoli Chrysler. Mi sono già espresso in merito in uno degli scorsi post e chissà se i fatti daranno anche in questo caso ragione alle scelte operate.

Dicevamo, il piano: 8 modelli Alfa Romeo fino al 2018, con l’unica prima vera novità Giulia nel quarto trimestre del 2015, un escamotage per non annunciare direttamente 2016. Finalmente ci sarà un’erede della 159 e si spera ancor più della fortunata (e ben disegnata) 156. E’ trascorso tanto tempo dall’uscita di produzione della 159 e ancor più dai ripetuti annunci di un’imminente uscita della Giulia. Puntualmente si è posticipata la messa in produzione, adducendo motivazioni tutto sommato sensate, vale a dire la ricerca di uno stile ancor più incisivo e di maggiore qualità. Elementi positivi, ma a vedere il rovescio della medaglia ci si può domandare cosa avessero progettato sino a quel momento. L’impressione di Alfa è quella di una squadra di calcio della quale si percepiscono i malumori sin dallo spogliatoio poco unito e quando si va in campo la sensazione è che ognuno giochi per sé o non sappia a chi passare il pallone. Potremmo immaginare che una squadra così per lottare per lo scudetto? Qui lo scudetto è tedesco e ha le sembianze di Audi, Bmw e Mercedes, con la bavarese obiettivo dichiarato del biscione. Sarà così? Più passa il tempo e più la faccenda si complica. Il resto della produzione Alfa vedrà la sparizione della Mito (ciao Mini e A1) un rimpiazzo in futuro per Giulietta, nonché finalmente un suv e vetture di lusso ulteriormente imparentate con le Maserati. L’impronta che si intende dare ad Alfa è di marchio nettamente premium, posizionato piuttosto nelle fasce alte, perché sono quelle in cui i margini di utile per vettura venduta sono maggiori. I motori saranno plurifrazionati (molti concorrenti stanno invece orientandosi al downsizing) e la trazione tornerà al posteriore. Sono elementi dai quali ci si attende molto e che spero vengano “cucinati” con sapienza, giacché a proposito di ingredienti non che se si li fa cucinare a Cracco o a me, il piatto sarà gradevole nella stessa misura.

Sembra quindi che Alfa Romeo voglia abbandonare la sua immagine di marca sportiva, se vogliamo anche per tutti o comunque per molti, scegliendo dunque una clientela più abbiente, quasi in controtendenza con i marchi tedeschi che da qualche anno stanno “scendendo” per venire incontro a una clientela più vasta.

Il marchio Fiat prevede sei modelli più o meno nello stesso arco di tempo di Alfa, con uno, la 500X, ampiamente progettato e inserito già nei passati piani, ma che comunque si immagina essere un probabile successo annunciato, visto cosa è riuscita a ottenere la 500L, che si pone come la cugina più funzionale della “X”. Presumo poi che la “fame” di nuovi modelli Fiat porterà non dico forzatamente, ma quasi, a scegliere anche questo modello. Le nuove Punto e Panda arriveranno molto in là, quindi la prima subirà forse un breve fermo, mentre la seconda dovrà arrancare mentre le concorrenti saranno già state rinnovate.Lo stesso destino della Punto, pare spetterà alla futura Bravo, lasciando dunque terreno libero a Golf, 308, Focus, per citare solo le prime che mi sovvengono. Ci sarà anche un nuovo Freemont, ma occorrerà attendere (anche per capire se il mercato vorrà ancora veicoli di questo genere e stazza) e arriverà l’erede della Barchetta o della 124 Spider, alla quale spetterà il ruolo di vettura “emozionale” del marchio per gli USA e magari avrà una declinazione Abarth.

Non è stata fatta menzione della 500 o comunque non in maniera così esplicita. Bisogna ricordare che l’attuale è del 2007 e per quanto si voglia considerarla “fuori dal tempo” ha pur sempre 7 anni, che mediamente sono la durata normale di un ciclo di vita di un modello. Riuscirà a tenere il tempo, per quanto riguarda gli standard di sicurezza ed ecologia? La Mini, pur apparentemente sempre uguale a se stessa è alla terza generazione dal 2000…

Maserati è il marchio che io vedo come “la Porsche” di FCA, non volendo commettere lesa maestà per nessuno dei due blasoni. Partendo da una gamma inesistente, sono stati compiuti enormi passi avanti con Ghibli e Quattroporte, mentre adesso toccherà al suv e alle sportive figlie del concept Alfieri, a mio avviso delle valide anti-Porsche o Jaguar. Il vantaggio di Maserati rispetto a Ferrari risiede nel non essere legata a troppi cliché, dunque via con motori 6 o 8 cilindri, benzina e gasolio, trazioni integrali e suv, ovvero ciò che il mercato vuole e mediamente acquista in Germania o al massimo nel Regno Unito.

La stessa Jeep sarà un’altra paladina del premium, con la base piazzata sulla Renegade, che è più europea o italiana, mentre il resto della gamma punta direttamente anche verso la Cina, dove con i numeri che si possono ottenere ci sono grandi speranze.

L’Italia? Non so cosa aspettarmi, sebbene Marchionne abbia rassicurato tutti, dicendo di non voler chiudere o spostare le produzioni, tanto che le nuove Alfa Romeo dovrebbero essere prodotte solo da noi. Le perplessità sono molte e in particolare due: con un piano industriale così proiettato verso il futuro – si parla di quattro anni- ci si deve aspettare che si stia quasi partendo da un foglio bianco, dunque con numerose incognite e con le linee di produzione ferme e personale a casa. L’altra perplessità riguarda la capacità produttiva italiana in relazione a quella complessiva e agli obiettivi sulle vendite in Europa. Un solo dato: l’intera produzione europea potrebbe essere assorbita dal solo stabilimento di Tichy e la cosa fa rabbrividire.

In conclusione, non so cosa attendermi dal nuovo Piano Industriale e mi auguro che alla pompa magna che ha caratterizzato l’evento , come avviene ormai da circa un decennio, non faccia seguito la dinamica del calciomercato estivo, dove molte squadre si fregiano degli scudetti ad agosto, ma non a fine campionato.

Abitudinario


Nei giorni scorsi ho guidato una vettura che è non la mia, la famigerata “sostitutiva” e mi sono trovato a dovermi adattare, anzi riadattare ad contesto un poco differente dal mio. Come forse molti sapranno dai miei precedenti post, l’occasione di guidare altre automobili è per me sempre gradita, vista la mia naturale propensione al tradimento…automobilistico. Tuttavia, la mia attuale “amante” è un po’ meno dotata rispetto alla “consorte”, quindi alle dimensioni esterne decisamente più cittadine, corrisponde un posto guida più scomodo del mio e, credetemi, essendo alto 1,90m, le differenze di seduta si notano, eccome.

Ancor più ho accusato la mancanza ad esempio, dei sensori di parcheggio, anteriori e posteriori e da qui ho iniziato a riflettere sulla facilità di assuefazione agli ausili tecnologici, non appena si inizia ad utilizzarli. Io sono nato, automobilisticamente parlando, circa una ventina di anni fa e tutte le mie automobili sono state prive di sensori fino al 2005, quando iniziai ad utilizzare quelli posteriori e poi dal 2010 godo dei serivizi offerti da quelli anteriori. Sono stati sufficienti pochi anni per ritarare lo stile di guida, anzi di parcheggio, su questi ausili e (confesso) come utilizzi molto più lo specchio retrovisore, rispetto alla cara vecchia testa rivolta all’indietro, come insegnavano a scuola guida. Si crea, secondo me, una sorta di assuefazione dalla quale occorrerebbe “uscire”, pena il rischio di commettere errori. Mi accorgo infatti di salire in auto, innestare la retromarcia e guardare solamente i retrovisori, perché la mia mente è abituata al suono dei sensori, ma non avendoli, necessita sempre la massima attenzione.

Non mi è accaduto, quando ho avuto automobili con il cambio automatico, di far poi spegnere la macchina “manuale”, dimenticando la frizione, tuttavia è stato davvero piacevole dimenticarsi della frizione e andare via “di gas” potendo tenere sempre le mani sul volante. Risulta comunque davvero facile per il nostro cervello l’acquisizione di molti automatismi, per i quali procediamo praticamente “col pilota automatico”. Provate a non dover più mettere in moto la vettura con l’inserimento della chiave e poi salite su di una vettura su cui è presente “l’obsoleto” blocchetto: quante volte vi troverete a frugare nelle tasche per estrarre la chiave? Questo per spiegare come non sia affatto un sostenitore del “si stava meglio quando si stava peggio”, anzi mi ritenga un sostenitore al limite del gadget, se esso porta ad un miglioramento delle condizioni di guida e magari la rende persino più divertente. Con ciò non intendo che mi piaccia l’auto che guida da sola, ma apprezzo particolarmente quelli che definirei ausili. Sono consapevole dell’inarrestabile, inesorabile trasformazione delle nostre automobili in “elettrodomestici” e confesso che la cosa non mi intrighi. Mi piacerebbe e spero che in futuro ciò sia possibile, scegliere il livello di autocontrollo della mia automobile, in modo da poter conservare un briciolo di piacere nel guidare. E’ questo un problema che forse si pongono gli appassionati come me ed eventualmente quelli che hanno iniziato a guidare qualche anno fa, perché la tendenza attuale dei giovani è piuttosto in controtendenza rispetto ad un tempo, quando cioè si desiderava l’automobile e al diciottesimo anno “scattava” la patente.

Oggi i giovani molto non sono mediamente interessati alle automobili e men che meno al loro possesso. Da un lato i prezzi proibitivi e ancor più i costi per il mantenimento rendono meno appetibile l’automobile, dall’altro la “fame tecnologica” è tale che ci si orienta su altri strumenti, piuttosto che sull’auto. La macchina, la moto erano un tempo il “primo web”, perché consentivano una notevole dose di emancipazione e la possibilità di scoprire il mondo, di allargare autonomamente i propri confini. Oggi non è così e in più c’è una nuova (sana) tendenza all’utilizzo dei mezzi pubblici, del treno e della bicicletta. Le case automobilistiche sono ben coscienti di ciò e per vendere, posto che a loro interessino i giovani, puntano sull’Infotainment prima che sulle prestazioni, perché l’automobile diventi un’appendice della “cameretta” o del salotto, prima di essere un mezzo.

Gli appassionati sono ormai una minoranza e per loro c’è meno spazio di scelta. Credo (temo) che in futuro sarà ancora più marcata la differenza tra molte auto-smartphone e poche per così dire, “analogiche” .

Chi mi segue sa che a dispetto di quanto possa essere apparso nostalgico in queste ultime righe, io sia decisamente affascinato dal futuro e dall’evoluzione tecnologica, tanto che non reputi per nulla dequalificante guidare una vettura con cambio automatico, sensori di parcheggio, frenata automatica, cruise control, senza spingermi sino all’ESP, prima di tutto perché vedo positivamente tutto ciò che mi può “sgravare” da disattenzioni ed emergenze, secondariamente perché posso concentrare la mia attenzione sulla guida in maniera più sicura.

Talvolta vengo rimproverato da chi mi sta vicino di non essere più in grado di parcheggiare “alla vecchia maniera”, cioè andando quasi ad appoggiarmi alle altre vetture, ma io sostengo viceversa che grazie ai sensori abbia adattato i miei sensi ad altri riferimenti, in questo caso tecnologici, che innalzano la soglia e non escludono poi che si possa “osare” ancora un poco dopo il loro intervento.

Mi spingerò addirittura un poco oltre con un esempio: aerei da guerra come l’Eurofighter, probabilmente il più moderno ed evoluto al momento, hanno una complessità di controlli da effettuare continuamente, che nessun umano riuscirebbe a mettere in pratica, dunque se ne occupano i computer. Questo per dire come in auto, nel traffico o nei flussi autostradali, sapere di poter contare su controlli automatici sia infinitamente rassicurante, per noi e chi ci sta attorno. Persino le vetture sportive più estreme hanno software di gestione in grado di trasformarle da “belva” a “berlina”aumentandone la fruibilità.

Passerà ancora qualche anno tra lo “spegnimento” motore e “l’arresto del sistema”, ma credo che la strada sia inesorabilmente tracciata, quindi è più saggio adattarsi, che opporsi, sperando invece che i nostri giocattoli vengano resi più divertenti.