Archivio | novembre 2015

Pensieri rapidi#14


Non so se l’abitudine che sto per descrivere sia italiana o una “specialità locale”, nello specifico della città in cui vivo, Torino, ma constato con sempre maggiore insofferenza l’utilizzo improprio delle “quattro frecce”, soprattutto sulle strade urbane. Il lampeggio è ormai inflazionato e spesso sostituisce quello degli indicatori direzionali, in particolare quando si è in procinto di fermarsi o di parcheggiare. Il disagio aumenta, proporzionalmente al fatto che queste vengano azionate su strade strette o, magari all’improvviso. Mi provoca particolare fastidio la leggerezza con cui non si segnala a chi segue che si stia per accostare o semplicemente ci “si faccia da parte” e si possa superare senza intoppi. Ogni tanto, esasperato, provo a discuterne con il “quattrofreccista” di turno, che puntualmente mi manda a stendere, forte del fatto che lui abbia segnalato la “situazione diversa” con il lampeggio di emergenza, che a ben pensare ha già nel nome il significato del suo utilizzo. Siccome non sono ipocrita, confesso di usare anche io le quattro frecce, solo dopo aver fermato la vettura, magari in sosta e poco visibile, ma sempre dopo aver utilizzato le frecce, per far capire agli altri cosa stia facendo.

Nella casa in montagna devo utilizzare un “nuovo” box, molto meno capiente del precedente e soprattutto parecchio “giusto” nell’imboccatura e nello spazio antistante, al punto di dover entrare in retromarcia, manovrando parecchio per “centrare” l’ingresso. Mi accorgo immediatamente dell’esistenza di due scuole di pensiero, rispetto all’ingresso in box, ovvero quella “di muso” a cui appartengo storicamente e quella “in retro”, cui ho dovuto aderire forzatamente. Sono davvero due mondi differenti, che implicano una diversa percezione degli spazi e degli ingombri della vettura (soprattutto se non è una city car), soprattutto, nel mio caso implica il doversi riaffidare ai propri sensi, ancor più che ai sensori, visto che con gli spazi molto stretti e con le fiancate da “far quadrare”, l’unico vero sensore è lo specchietto retrovisore. Anche questo è un piccolo allenamento, talvolta un po’ rischioso, ma utile a ricordare che la guida e il parcheggio sono pur sempre “piccole arti”. Detto poi da uno che non ha molte preclusioni sull’elettronica, la frase acquista parecchio valore.

Ho visto, come molti, le immagini della nuova Fiat 124 Spider e il suo spot, di cui parlerò in un prossimo post. Mi voglio soffermare brevemente sul nome e sul criterio di scelta, confermando le identiche perplessità manifestate per la Tipo. Sono conscio che la scelta sia ricaduta su un nome conosciuto anche negli USA, ma pur sempre su una vettura che non è più presente sul mercato da almeno 30 anni e che quindi non ha una continuità di presenza, tanto che le ultime Spider non erano nemmeno più Fiat, bensì Pininfarina e ribattezzate “Spider Europa”. Lo stesso dicasi in Italia, dove la spider era una delle molte varianti di una grande famiglia, quella 124, dunque il nome era una conseguenza della funzione. Sono evidentemente prevenuto, ma ribadisco quanto già scritto in precedenza: quando non c’è una continuità, è giusto e sensato anche reinventare, cambiare nome. Del resto, la stessa operazione fu fatta, a mio giudizio con successo, negli anni ’90, con la Coupè e la Barchetta, nomi nuovi per modelli nuovi. Sono queste le stesse perplessità che ho nei confronti di Hyundai, che è tornata sui suoi passi, dalla ix35 a Tucson, ma è anche comprensibile, vista la similitudine della sigla con quella di modelli di altri costruttori.

Discesa (non) libera


Riflettendo a mente libera, ho ripensato al fatto di non gradire la guida in discesa, intendendo ovviamente non quella di una rampa di un box o di un supermercato, bensì numerosi km compiuti magari dopo aver valicato un passo montano. Sia chiaro, non agisco nel panico adottando uno stile da neopatentato, ma soprattutto guidando con brio, gradisco poco la sensazione di essere “trasportato” dalla strada. Se poi si aggiunge un poco di traffico, il disagio sopravviene fisiologicamente dalla guida in colonna, che amplifica il tira e molla, sommando i tempi di reazione, molto diversi, degli automobilisti. Alle volte non è nemmeno sufficiente mantenere una certa distanza, già utile per limitare le frenate e gestire meglio i rallentamenti, ma spesso lo spazio viene occupato da chi vuole sorpassare l’intera colonna, per aggiungersi all’elenco dei “frenatori in faccia” a chi segue.

Guidando ormai da 13 anni vetture a gasolio, sono abituato ad un certo freno motore in rilascio, che sovente utilizzo in discesa per mitigare la frenata, ma noto come siano invece parecchi i guidatori che usano moltissimo il pedale del freno, anche in luoghi dove forse è più psicologica che reale l’idea che la frenata serva, visto che spesso, subito dopo riaccelerano. A volte sarebbe sufficiente una visione più a lunga distanza e un uso del rilascio più calibrato, per poi eventualmente riprendere la vettura con l’acceleratore. Il tutto, sia chiaro, a bassa velocità, perché non sto parlando di traiettorie da pista, ma di piccole brevi manovre, su cui gli effetti di sotto o sovra sterzo non incutono timori.

A proposito di discesa, ad una di esse è legato uno degli episodi più “pericolosi” che io ricordi nei tempi recenti, proprio legati ad un certo senso di impotenza. Dicembre 2013, ritorno del primo weekend della stagione sciistica, domenica sera, poco dopo il tramonto. Il giorno precedente era nevicato, fino a bassa quota, ma le strade erano perfettamente sgombre. Sulla Statale 24, ad un certo punto, poco prima di Susa c’è la possibilità di deviare dal tracciato e imboccare una stretta strada, in discesa e con curve e tornantini, che permette di saltare i cosiddetti “tornanti di Susa”, dove si possono formare code e rallentamenti. E’ una strada che conosco come le mie tasche, in salita come in discesa, ma quel giorno commisi non uno, ma due errori. Il primo fu imboccare la scorciatoia, il secondo fu di farlo con la vettura sostitutiva che guidavo al momento – una trazione posteriore, senza purtroppo le gomme invernali – facendomi pentire amaramente della scelta, dopo appena un centinaio di metri. Il motivo? La strada era pulita dalla neve, ma quello che sembrava umido era in realtà uno strato ghiacciato. Con un pizzico di freddezza e di fortuna riuscii a rallentare la marcia fino al passo d’uomo, evitando di andare a muro, giacché praticamente tutto il km o poco più scorre tra uno due muretti di contenimento. A completare la sciagurata decisione, il minore freno motore, dovuto al cambio automatico. In barba al risparmio di tempo, ricordo di essermi mosso ad una velocità inferiore a quella che avrei avuto percorrendo la strada di corsa, ma a quel punto la priorità era di portare a casa la pelle, anzi la lamiera, per di più di una vettura non mia.

Inutile dire che non si debba mai sottovalutare la situazione, né il mezzo che si sta utilizzando, che per inciso non era un “cancello”, ma senza le gomme termiche era notevolmente in crisi. Al di là della questine un po’ romanzata, il fattore determinante era la mancanza di grip, con gomme inadeguate. In salita, con le termiche avevo avuto occasione di arrampicarmi durante una copiosa nevicata ,in maniera un po’ rallistica, ma efficace con una Bravo mjet, che però aveva le ruote motrici anteriori ed anche questo è un fattore da non trascurare. Del resto, non andrei mai a correre con i mocassini, dunque le scarpe sono sempre fondamentali.

Tornando alla discesa, che obbliga a frenare di più e sbilanciare un po’ le masse in gioco, continuo a preferire la salita, dove il gioco di traiettoria è anche questione di acceleratore e motore. La discesa, però mi piace assai sugli sci e in bicicletta, ma qui entrano in gioco altri meccanismi mentali.

Bella lì


Senza sconfinare nella retorica, il mondo dell’automobile è pieno di sfide e fallimenti, alcuni colossali, altri meno gravi e ascrivibili semplicemente alla categoria di insuccessi o, se preferite, di mancata realizzazione di un successo. Mi riferisco a modelli particolari, per i quali le scelte del marketing o del design avevano intrapreso una direzione, disattesa dal pubblico, ma non necessariamente perché le vetture erano dei “bidoni” o dei mostri, semplicemente perché le condizioni al contorno non erano favorevoli e il pubblico non era pronto.

Sto ovviamente semplificando moltissimo, ma per svariati modelli anche un semplice riposizionamento dei listini ha poi ridestato le sorti. Faccio due nomi, passati e recenti: Autobianchi Y10 e Fiat Freemont (vedi Dodge Journey), il cui destino è stato segnato in meglio da un ribasso dei prezzi e, nel caso del Freemont, da un lavoro di aumento della qualità percepita.

Torno invece al discorso principale per citare, a memoria, l’Audi A2 di un decennio fa, sul qualche la Casa di Ingolstadt investì moltissimo in termini di tecnologia e design, desiderando costruire una “piccola” sfiziosa e particolare al punto, ahiloro, di non essere compresa, ergo acquistata. In Audi, in seguito la definirono “auto per gli architetti”, cercando di spiegare che il design era forse sin troppo ricercato e particolare per essere compreso dai più. Non a caso la successiva “piccola” dei Quattro Anelli, la A1, nacque con forme più convenzionali e il suo destino è stato decisamente più roseo.

Stessa sorte un po’ “rischiosa” è quella che in casa Mini riguarda le varianti Coupè e Roadster, dove il mix tra linea più audace, prezzo più alto e vettura “di nicchia nella nicchia Mini”, ha certamente inciso sul numero di vetture circolanti, tanto che con il restyling del modello i vertici hanno sfoltito la gamma, non ritenendo strategiche le due versioni. Da quel che trapela, la nuova Countryman non avrà più la declinazione Paceman, ovverò coupé, non tanto perché ritenuta un flop, quanto piuttosto poco redditizia in termini di numeri come pubblico che comunque acquisterebbe la “berlina”.

Nel lungo excursus includo anche la Fiat Multipla, non tanto come insuccesso, perché in fondo i numeri le rendono giustizia, ma come livello di incomprensione, visto che la sua linea ardita non è mai stata digerita appieno ed è stata apprezzata di più (me compreso) quando è divenuta più “normale”, pur mantenendo le caratteristiche di originalità che la contraddistinguevano.

Ho tenuto per la conclusione il modello che mi ha stimolato a scrivere il posti, ovvero la neonata Evoque cabriolet, da me soprannominata “Ebbene sì. L’hanno fatta”. Il significato di ciò è presto spiegato: la Evoque è una suv/coupè di grande successo ed è molto apprezzata ovunque, in più le si deve ascrivere il primato di aver inventato nel suo segmento la nicchia di suv medio-coupé con linee quasi da prototipo e il pubblico l’ha apprezzata sin da subito. Adesso, dopo aver presentato un prototipo che io definisco “folle”, soprattutto immaginando i costi di ingegnerizzazione, in Range Rover osano declinare il suv in variante “spider”.

Sono certo che i vertici avranno sondato il mercato in maniera approfondita ed è probabile che certi paesi avranno più richieste, ma sono realmente sorpreso di un così notevole azzardo commerciale. Lo dico con stupore positivo, perché ormai l’industria dell’auto si muove su calcoli ferrei e logiche rigide, quindi anche questa vettura, che di certo garantisce un maggiore margine di guadagni, sarà remunerativa.

E dire che noi (appassionati) ci ritenevamo pazzi nel desiderare una “Fulvia reloaded”, tutta su meccanica Fiat Barchetta. Come sono cambiati i tempi…

Pensieri rapidi #13


L’episodio arcinoto e arcicommentato (su cui non intendo approfondire) tra Rossi e Marquez a Sepang mi ha evocato una di quelle situazioni tipiche nella guida di tutti i giorni, in cui riteniamo di essere ostacolati, “subiamo” per alcuni km e poi reagiamo sorpassando e magari chiudendo un poco la traiettoria di chi viene considerato ostacolo del nostro cammino. Senza peccare di presunzione, ritengo che ad ognuno di noi sia capitato di comportarsi così, magari poi talvolta pentendosi anche del gesto, ma sentendo quasi liberatorio il “dover fare” qualcosa. Lungi da me giustificare la “guerriglia” al volante, anzi, mi rendo conto che con il passare degli anni stia aumentando la mia pazienza e una certa tolleranza, ma quel che intendo dire (anche a me stesso) è che occorrerebbe sempre ragionare un secondo in più, dal momento che su strada non esistono i margini di sicurezza offerti dalla pista. Ribadisco, è difficile, ma occorre impegnarsi, così come occorre impegnarsi per non costituire intralcio. Per molti, essere sorpassati equivale ad un oltraggio, mentre farsi da parte sarebbe solo un gesto di civiltà e sicurezza.

Ho letto, la notizia ogni tanto rimbalza ancora in rete e su carta stampata, che la figlia dello scomparso attore Paul Walker, intende o forse ha già dato mandato ai suoi avvocati, fare causa alla Porsche per l’incidente che ha coinvolto il proprietario della vettura e, appunto Walker, che ne era passeggero. Impossibile per me giudicare non conoscendo molto della vicenda, ma di certo la figlia di Walker vorrebbe un risarcimento dalla Porsche, rea di non aver prodotto un’automobile sicura. Dalle notizie reperite in rete, pare che la vettura montasse gomme consumate e vecchie, inoltre la dinamica dell’incidente lascerebbe intuire che il guidatore si sia lasciato prendere la mano e abbia lanciato la vettura a notevole velocità, per giunta in curva. Da qui ho sviluppato due personalissime considerazioni. La prima, riguarda forse un certo pregiudizio riguardante le supercar, ritenute potentissime e indistruttibili, mentre è vero quasi l’opposto: hanno strutture robuste per essere leggere e resistenti, ma possono permettersi di non rispettare alcuni criteri di sicurezza sui crash test, grazie alla realizzazione in piccola serie. La seconda considerazione riguarda il paradosso tra il ritenere pericoloso condurre certe vetture, anche ad alta velocità e su strada aperta, dunque con notevoli rischi e poi disprezzare la guida autonoma, che potenzialmente, dico potenzialmente, azzera gli incidenti. Ho esagerato, ovviamente, ma dal momento che a me piace guidare, ma il futuro è inarrestabile, quindi prima o poi la guida assistita in qualche misura ci coinvolgerà, occorre essere realisti.

Posto che affrontare una bella serie di curve in montagna, seduto su una giusta dose di coppia, continui a rappresentare uno dei miei piaceri preferiti, mi accorgo con realismo estremo e forse rassegnato, che la guida quotidiana in città mi ha cambiato, anzi, sono io ad esser cambiato e guardo il traffico attorno a me con altri occhi. Per non sentirmi particolarmente frustrato, nonché per non alleggerire inutilmente il serbatoio, il mio obiettivo costante è il maggior risparmio di carburante, senza voler forzatamente viaggiare a 20 km/h, il che talvolta è persino più oneroso. Grazie al cambio automatico (che in sé fa consumare di più, poiché porta anche più kg a bordo) e alla modalità di veleggio, ovvero lo stacco automatico del cambio quando non serve, cerco ormai di minimizzare le accelerazioni e le frenate, lasciando scorrere di più la vettura. Mi accorgo che nel traffico è certamente una pratica non sempre facile, ma devo dire che adottare una guida predittiva presenta dei vantaggi, in termini proprio di consumo e lo sarebbe ancor più se tutti adottassero uno stile fatto meno da accelerazioni e frenate. Mi sembra ormai di parlare da “pentito del gas”, ma per indorare a me stesso questo ragionamento, penso anche alla possibilità di “spendere” una fetta di bonus sulle strade e nelle condizioni in cui è consentita la modalità “sport”, per l’auto e per la mia testa.

Bel Tipo


La recente presentazione della Fiat Tipo è stata accolta con entusiasmo e una certa curiosità, forse più da parte degli addetti ai lavori, rispetto al pubblico. Va da sé, lo dico senza ironia, che il lancio di un modello marchiato Fiat sia sempre ben visto, ancorché molto atteso, quasi fosse la nascita di un cucciolo di panda, vista la carenza di modelli nuovi, giacché mi si consenta, non basta qualche led e una nuova consolle per decretare “nuovo”. Abbandonati i ragionamenti dal sapore polemico, va notato che la Tipo è davvero nuova in tutto: intanto è tre volumi, quindi si collega ad una delle tendenze del momento, che particolarmente fuori Italia, vedono ancora (sempre) una certa domanda di vetture “importanti” e la Tipo, un po’ importante lo è davvero, poiché supera i 4,5 m di lunghezza, per cui riempie davvero il box.

Anche se in Fiat o FCA che dir si voglia, nessuno lo sbandiera più di tanto, la Tipo va a sostituire la Linea, una vettura che forse in Italia e in Europa avrebbe meritato più attenzione e appoggio da parte del marketing, mentre la si è lasciata a mio avviso fin troppo in disparte, con la concorrenza fatta da Seat e Skoda che si prendeva grandi fette di mercato con Toledo e Rapid, che concettualmente sono “la stessa idea della Linea” e della Tipo. Idem, per Dacia, che puntando un poco più in basso, piazza le sue low cost sempre nello segmento, con successo di pubblico.

L’intenzione di Fiat non è però costruire una low cost, anche se la Tipo si pone come vettura “da fatica”, scelta da famiglie e da chi deve fare km, senza pensare troppo alle prestazioni, quanto all’economia di esercizio. I motori, infatti, difficilmente passeranno dalle parti dell’Abarth, ma alla vettura questo non è chiesto. Arriverà (finalmente) una station wagon, che manca in casa Fiat da alcune ere geologiche, da quando, cioè la Fiat stessa ne sfornava di successo in molti segmenti. Non solo si dice che sia in dirittura d’arrivo una versione due volumi a 5 porte, a costituire una gamma piuttosto articolata che praticamente si insedierà in un segmento a mio avviso trasversale tra Punto (o chi per lei) e Bravo (o chi per lei). A mio avviso questa mossa consente a Fiat di temporeggiare e valutare se davvero produrre le nuove generazioni di Punto e Bravo, dal momento che dispone di un modello che potenzialmente può “pescare” clienti da entrambi i segmenti.

Quel che sarà da valutare è l’accoglienza del mercato, che di certo non è fermo e non sta ad aspettare più di tanto vetture come questa, perché la concorrenza è agguerritissima e propone diverse decine di potenziali alternative a questi modelli. Non avendo visto la Tipo da vicino, mi baso esclusivamente sulle immagini ufficiali e devo confessare che il mio giudizio è parzialmente sospeso. La prima difficoltà che incontro è quella di “capire” lo stile, poiché non avendo Fiat un corso di stile attuale, diventa difficile comprendere il linguaggio, che non è di evoluzione, ma nemmeno di rivoluzione. La mia impressione è che la Tipo sia più progettata come una FCA, che non come una Fiat, quindi non abbia, in definitiva nessun carattere specifico di un continente, ma al tempo ne abbia di diversi, dovendo poi essere venduta su molteplici mercati con un marchio diverso dal “nostro” Fiat.

Sono curioso di scoprire come sarà accolta in Italia, dal momento che la Tipo andrà a scontrarsi con un discreto numero di concorrenti in famiglia: 500L, 500X e inserisco pure Giulietta, almeno nelle varianti più economiche. Non mi si consideri presuntuoso, ma sarà una bella lotta, dal momento che la Tipo non potrà essere venduta ad un prezzo troppo basso, pena autosvalutarsi in termini di qualità.

Veniamo infine alla scelta del nome, che mi ha lasciato sinceramente molto perplesso. Prima di tutto io contesto a Fca la scelta di voler ripescare i nomi delle vetture del passato, per cercare una continuità che inevitabilmente non esiste o si è persa, proprio a causa di volontà di cambiare nome. Mi spiego: senza voler peccare di superbia, Fiat non possiede nomi di grande peso (togliamo 500 e Panda) che giustifichino a mio parere una certa continuità. In passato, si è deciso di cambiare ad ogni lancio, perché lo si riteneva più sensato e perché ciò non apparteneva alla mentalità aziendale italiana, a dispetto ad esempio di quella tedesca, che pur sbattendo il naso in qualche occasione, ha portato avanti un’idea: Escort e Focus, Kadett e Astra, Golf, senza scomodare Bmw e Mercedes, che addirittura hanno “forzato” le serie, mantenendo i “capisaldi”.

In Fiat, si è scelta una differente strada, giusta o sbagliata che fosse, ma adesso sarebbe secondo me più saggio partire da zero e “sperare” che il nuovo modello apra una nuova strada e magari mantenere il nome in futuro. Non me ne vogliano i passati proprietari di Tipo, ma il modello non ha un peso complessivo tale da giustificare la ripresa di un nome, stesso ragionamento fatto in passato per Bravo, Croma e mettiamo nel calderone polemico anche Giulietta e Giulia. Senza contare che ormai i nomi del passato vengono attribuiti a vetture che concettualmente non sono nemmeno così aderenti al nome. Non mi voglio dilungare, anche se il discorso meriterebbe un post a parte, ma preferirei vedere le nuove Tipo con un altro nome, nuovo, che faccia dimenticare quella nostalgia un po’ malinconica che noi italiani abbiamo per il passato, mentre invece dovremmo guardare con più coraggio il futuro. Un nuovo Tipo di futuro…