Archivio | settembre 2013

Le ragioni del Qoros


Mi è capitato di sfogliare recentemente un dossier sulla nascita di Qoros, un nome che ai più non dirà nulla, ma che nelle volontà dei fondatori dovrebbe diventare una nuova stella nel firmamento premium europeo. Niente di meno? Esatto. La novità è proprio questa, ovvero l’idea di porsi senza mezzi termini, come alternativa a “chi può spendere”, piuttosto che a chi cerca auto risparmiose. Ho dimenticato di citare che Qoros è un marchio cino-israeliano, al 50-50, con stabilimenti in Cina e centri di design a Shangai e a Monaco di Baviera.

Sembra poco? Di questi tempi direi proprio di no e in particolare mi affascina la nascita di un nuovo marchio, cosa ormai assente per noi europei, che semmai assistiamo alla fine di importanti nomi, Rover, Saab, Lancia e così via e al più accade che i costruttori inventino un nome nuovo per lanciare una nuova linea di vetture. Per i prodotti cinesi non è una novità l’invenzione continua di brand, ma spesso sono destinati al mercato interno e pochissimi di loro si affacciano al Vecchio Continente. Ciò che è stato fatto con Qoros e non sappiamo se avrà successo, è invece più ambizioso, dal momento che “la squadra” è stata formata andando a “pescare cervelli” nei marchi europei e in generale nelle Case di indubbio successo, al fine di costituire una sorta di PSG o di Real Madrid dell’automobile. Il capo dello stile è un ex Bmw-Mini e nel marketing ci sono uomini provenienti da VAG o da altre industrie di primo piano europee. Qoros è teoricamente un frullato di automotive di valore, ma finché non sarà sul mercato non potremo averne conferma.

Dal punto di vista stilistico, mi ha affascinato la creazione di una nuova identità di marca, abituati come siamo a sapere che Audi fa le Audi, Volkswagen le Volkswagen, Bmw le Bmw e così via. Insomma, la novità del creare qualcosa che prima non c’era e che venga poi apprezzato e percepito come prodotto di valore, è elettrizzante. A maggior ragione, in questo caso, non avendo una tradizione di marca c’è l’arma a doppio taglio del non avere radici, che da un lato libera completamente la mente, ma dall’altro mette sul piatto la difficoltà di far capire chi si è: una nuova Jaguar, parlerà comunque lo stesso linguaggio delle precedenti, pur se con le evoluzioni dello stile. Nel caso di Qoros e del primo modello GQ3 (quel numero 3 sembra voler da solo gettare il guanto di sfida a una nota 3 tedesca…) si è dovuto inventare tutto: dal design dei cerchi, alla chiave di accensione, passando per gli interni e l’infotainment. “Bella scoperta, direte voi”. Vero, ma con la difficoltà di non dover ripetere e scimmiottare ciò che già esiste nel panorama automobilistico, pur mantenendo la volontà di stuzzicare chi è intenzionato a comprare Serie 3, Audi A4, Mercedes C, giusto per citare i competitor principali.

Il risultato complessivo è secondo me valido, pur se ho ravvisato un frontale che somiglia alla Renault Laguna del 2004 e forse a qualcos’altro di francese, ma in fondo le forme della vettura dovevano essere “rassicuranti” e non di rottura, visto il target di riferimento. Il mio entusiasmo, sin qui non vuole essere una lode sperticata al marchio, ma all’idea di novità e alle possibilità per chi si affaccia sul mercato in questo momento di crisi globale, che per il “premium” sarà meno sentita, ma esiste in assoluto.

La mia curiosità è poi orientata soprattutto sui clienti e sulla loro flessibilità e mi sono chiesto in primis: “se avessi la possibilità, sceglierei una Qoros o una Volvo, un’Audi, una Bmw, una Mercedes?”. In tutta onestà, non so se azzarderei l’acquisto, forse più per una serie di pregiudizi, che non per la mancanza di qualità. In tutto questo è anche da valutare il posizionamento sul mercato di Qoros in relazione ai contenuti, che non potrà essere particolarmente “esoso”, ma nemmeno “cheap”, pena l’impressione di acquistare una low cost, che dunque non possiede il giusto lignaggio. Sono ansioso di potere vedere e toccare per comprendere.

Il quesito che mi ponevo vale secondo me per molti altri marchi e in un certo qual modo ne penalizza la percezione, o al più la condiziona, obbligando i costruttori a lavorare sodo sulla “premiuminosità” della vettura, a vantaggio in questo caso degli acquirenti. E’ quello che secondo me hanno fatto Huyndai e Kia, come ho già sostenuto spesso, con buoni risultati, o Volvo che grazie ai capitali cinesi tenta di sfidare i marchi di lusso tedeschi ed è quello su cui anche il gruppo Fiat dovrebbe (dovrà) lavorare, quando finalmente possiederà una gamma di modelli articolata. Persino Ford e Opel in Europa, hanno lavorato per migliorare la percezione di prodotti di largo consumo, con buoni risultati, tanto che Insigna è una concorrente di Passat, più di quanto non lo fosse Vectra. Laddove poi non si è riusciti o non si è voluto eccedere con la differenziazione, si è cercato o lo si farà, di inventare un marchio nel marchio, per riposizionare il prodotto. Nel caso di Qoros non c’è alle spalle Citroen come per DS o Ford per Vignale, tanto per citare qualche esempio: prima di Qoros non c’era nulla e la scommessa è proprio quella dell’inventare il futuro, non avendo il passato.

Il verdetto sarà determinato dal mercato, dove si sa c’è chi sceglie per ragioni razionali e chi segue le passioni: al Qoros, come dicevo, non si comanda…

Anche l’occhio vuole la sua parte


C’è un argomento del quale, persino sulle riviste specializzate, difficilmente troverete recensioni e men che meno valutazioni: il design di un’automobile. Ora, è evidente la difficoltà di esprimere giudizi sullo stile e sulla bellezza: ciascuno di noi ha un proprio senso estetico, più o meno sviluppato, che esercita in qualsiasi momento, compiendo scelte. “Mi piace quel maglione, mi piace quel quadro, non mi piace quella casa, non mi piace quel soprammobile” e via discorrendo.

Chiaramente compirò delle semplificazioni, ma in qualsiasi scelta, persino in quella del partner (!) le implicazioni estetiche non vengono trascurate. Questa premessa per spiegare come nel mio caso sia imprescindibile la forma della vettura che voglio acquistare o, come in fondo sia importante che attraverso la sua linea, essa esprima personalità. La soggettività del giudizio è imprescindibile, tuttavia essa potrebbe trasparire anche su valutazioni delle sensazioni di guida, differenti da rivista a rivista, ovvero da pilota a pilota. Sono esclusivamente i numeri e tempi sul giro ad essere davvero oggettivi.

Come accennavo, le riviste automobilistiche, in seno ad un’aura di imparzialità e di etica, si astengono dall’esprimere giudizi estetici e recensiscono la vettura in maniera tanto più scientifica quanto più nel “potere dei numeri”. E’ la base del metodo scientifico e comprendo, ma non condivido appieno, pur ritenendomi fieramente cartesiano,. Il motivo di ciò risiede nel mio essere appassionato di car design, dunque mi aspetterei talvolta dei giudizi, anzi meglio delle analisi, in merito alla linea. Sarebbe forse possibile esprimere un giudizio racchiuso in quello che si potrebbe incasellare come “equilibrio delle forme”, “armonia”, in modo da analizzare l’insieme e non l’aspetto puramente riferito al “tratto” dello stile.

Sono queste, molto probabilmente discussioni al limite della valutazione “del sesso degli angeli”, ma da chi è in grado di giudicare in poche curve la bontà di un assetto, la risposta di uno sterzo (che non vengono certamente misurati su una scala) desidererei qualche parola spesa anche nella direzione del design.

Non ritengo sia il caso di emulare il trio della trasmissione Top Gear, che senza mezzi termini stronca o promuove un’auto, esprimendo giudizi sempre piuttosto decisi, ma una valutazione sarebbe secondo me possibile. Uno sguardo “allenato”, con un po’ di mestiere è sicuramente in grado di valutare se le proporzioni, le armonie, sono rispettate. Affermare che la Bmw Serie 5 GT sia brutta è pur sempre un’opinione, mentre a mio avviso è possibile sostenere che essa sia non molto bilanciata nel design della parte posteriore (il fatto che a noi europei questa declinazione attragga poco, mentre per cinesi e americani abbia appeal, esulta dalle considerazioni). E’ probabile che una X6 rispetti maggiormente i rapporti, pur se da molti è ritenuta brutta (e “sederona”). Una Golf 7, pur sembrando la solita Golf (è un complimento, sia chiaro) appare immediatamente proporzionata, armoniosa. La “povera” Lancia Thesis, era un evidente esempio di mancanza di equilibrio nelle forme, con sbalzi pronunciati e passo corto: in poche parole “suonava male”. La Peugeot 208 è a mio avviso una delle più belle esecuzioni nel suo segmento, al pari della Renault Clio, pur se ancora troppo “disegnata”. Se fossero un brano musicale, sarebbero orecchiabili. Uno dei difetti di alcune creazioni francesi del gruppo Psa, era quello di presentare sbalzi anteriori molto marcati, che rendevano particolarmente sbilanciata la linea di tutta la fiancata. La scelta era ovviamente condizionata da fattori di convenienza tecnica ed economica, ma è innegabile il fatto che si percepissero delle dissonanze. Ancora, l’ultima esecuzione del Maggiolino Vw appare più riuscita della precedente New Beetle, perché più “costruita” e meno tonda rispetto all’idea dei designer che ebbero in mente di rieditare il “mito Vw”. Insomma, ci sono vetture che a prescindere dal lignaggio hanno un design coerente e con un linguaggio definito, che possono essere più o meno belle, più o meno uguali fra loro, ma indubbiamente ben eseguite.

Io credo, un po’ per gioco e provocazione, in stile quasi “lombriosiano”, che sia possibile “pesare” la quantità di bellezza, senza sbagliare, quasi come fosse la nostra atavica sensazione a pelle, quella che ci guida e ci comunica.

Come è intuibile da questi ragionamenti, non posso negare di aver guidato sempre automobili “belle”, o quantomeno equilibrate, perché come da titolo, “anche l’occhio vuole la sua parte”. E al marketing delle Case automobilistiche, questo aspetto non sfugge affatto.

(Tom) Cruise control


Lungi da me il voler apparire come uno scopritore, o peggio ancora, come un “rivelatore di verità”, tuttavia più viaggio in autostrada, in estate e in inverno nei fine settimana, più mi accorgo che per svariati motivi non mi interessa la velocità. Prima che mi consideriate matto o ipocrita, intendo dire che non mi piaccia viaggiare a 90 – 100 km/h se i limiti lo consentono, ma per ragioni diciamo così esterne, leggasi tutor e contenimento consumi, mi trovo a optare per velocità di crociera prossime o di poco inferiori ai 130 km/h.

A quelle velocità e ancor più in “zona 120” il motore della mia vettura diesel “gira basso” e conseguentemente le percorrenze per litro si allungano sensibilmente; non dovendo badare a rispettare dei tempi di rientro, il fatto di impiegare 10 minuti in più su 200 km, non mi sconvolge la vita. Anni fa probabilmente la cosa mi avrebbe frustrato, ma sempre più mi accorgo che viaggiare in autostrada ad alta velocità, con del traffico è in primis reato e secondariamente molto stressante, visto che gli altri automobilisti non si scansano come al passaggio di un’ambulanza, quindi ci si espone a rischi e frenate assolutamente gratuiti e pericolosi.

Inoltre dobbiamo mettere in conto che su parecchie tratti la circolazione è regolata con i tutor, che quindi “obbligano” ad una condotta costante ed entro i limiti, pena salate sanzioni. Sono felice di tutto ciò? La mia metà “pilotesca” no, ma quella saggia lo è eccome e sempre più mi convinco di quanto affermavo in un post di qualche tempo fa in cui sostenevo che “la statale è guidare, l’autostrada è spostarsi”. Questo non perché le strade statali siano il far west in cui bearsi e pigiare a più non posso, bensì per il fatto di poter eventualmente guidare in maniera allegra, sfruttando il proprio mezzo, senza dover essere per forza dei pirati che infrangono i limiti. Mi riferivo cioè alla velocità di percorrenza e non quella  assoluta, come elemento in grado di restituire gioia e piacere di guidare in un concetto che potrei sintetizzare con lo slogan  “meglio a 80 tra le curve che a 180 in autostrada”.

Durante i trasferimenti autostradali mi capita di osservare un altro comportamento, definibile come quello del “sorpassato di ritorno”, appartenente a chi, mentre viaggio a velocità costante,  mi supera in grande spolvero e dopo qualche centinaio di metri solleva il piede a tal punto che io lo risorpassi, per poi venire a mia volta superato: il balletto può ripetersi tre o quattro volte in meno di 100 km. Da qui il pensiero ad uno degli optional, secondo me poco usati/desiderati da noi automobilisti italiani, che potrebbe invece rivelarsi estremamente pratico quando si viaggia, sia con poco che con molto traffico, a patto ovviamente di non incollarsi al posteriore di chi ci precede.

L’optional che io definisco “americano” è apparso come dotazione di serie su una mia vettura una decina di anni fa e da allora ho iniziato ad apprezzarlo e a richiederlo anche sulle successive, poiché lo ritengo particolarmente utile nel “darsi una regolata”. In questo modo si ottimizzano anche i consumi, poiché si evita un continuo tira e molla, che se da un lato è una fase di rilascio, dall’altro consta di accelerate, dunque, con un briciolo di allenamento nel trovare la giusta velocità di approccio al traffico, si può mantenere una marcia regolare. Chi è più esperto di me sostiene che il cruise control faccia consumare di più, come peraltro avviene negli aerei, poiché autonomamente accelera per mantenere costante la velocità, anche quando magari la strada piega leggermente e con il normale pedale perderemmo qualche km/h. Indubbiamente ciò è vero, ma nei casi che citavo precedentemente ritengo che sia più produttivo viaggiare a velocità costante, piuttosto che a strappi.

Poiché non sono completamente impazzito e tantomeno fuori del mondo, ha senso menzionare le considerazioni su un recente studio internazionale a proposito dell’utilizzo del cruise control. I risultati contraddicono il mio entusiasmo e catalogano come potenzialmente pericoloso il fatto di non doversi curare della velocità, con un’incidenza maggiore nei giovani guidatori, che dopo 30 minuti si deconcentrerebbero e diventerebbero dunque maggiormente a rischio incidenti, perché più distratti. Lungi da me criticare degli studi svolti con criterio scientifico, ma tutto ciò mi suggerisce una semplice considerazione: per guidare occorre “saper guidare”, attività che implica attenzione e concentrazione. Di fatto anche i piloti di aereo spesso si affidano al pilota automatico, perché in grado di svolgere migliaia di controlli e operazioni simultaneamente e rapidamente, ma questo eccesso di fiducia ha causato talvolta errori che in modalità manuale sarebbero stati evitabili. Cosa intendo dire? La presenza del cruise control deve essere accolta come un aiuto e non come un sostituto: posso togliere il piede dal gas, ma devo tenerlo in zona per frenare, così come devo continuare ad impugnare il volante e non mi devo distrarre. La mia personale interpretazione della ricerca è dunque  la dimostrazione dell’eccesso di fiducia, consapevole o meno, verso certi ausili, che però non vanno eliminati.

Dovremmo semmai essere più “americani” nel percorrere le autostrade (dovremmo averne degne di questo nome) e viaggiare per “flussi di traffico” , cosa che forse stride un poco con il nostro ego di automobilisti latini perennemente in competizione.

Le considerazioni scaturiscono dall’osservazione pratica e magari si potrebbe pensare di dotare di serie le nostre vetture di questo ulteriore aggeggio, il cui costo ritengo non sia stratosferico, vista la sua integrazione con gli altri dispositivi elettronici di bordo. Probabilmente se qualcuno si trovasse fra le mani “l’arnese” sarebbe incuriosito dal provarlo e piano piano si potrebbero apprezzarne i benefici, anche per la sicurezza.

In fondo, il cambio automatico era considerato sino a qualche anno fa come “da americani e pappe molli”, mentre oggi di fronte ai vari DSG, PDK, ZF vari c’è da impallidire in termini di fluidità e rapidità di cambio marcia, quindi potrebbe essere solo questione di mentalità.

Amori estivi


Le vacanze, oltre a permettere di rilassarci o semplicemente di fare ciò che più ci aggrada, servono anche per lasciarci liberi viaggiare con la mente e partorire considerazioni di vario genere. Questo preambolo mi è utile per esporvi uno dei miei “prodotti della mente” di natura estiva.

Recandomi all’estero, il mezzo che utilizzo prevalentemente è l’aereo, per lo spostamento principale, ma per il “corto raggio” uso automobili a noleggio, che per ragioni di costo, utilità, ecc, ecc, sono sempre vetture di segmento inferiore a quello della mia. Queste occasioni, che non reputo affatto di declassamento, sono spesso fonte di ispirazione per il mio lato di “appassionato”, perché mi consentono di vedere come sono fatte le altre automobili, utilizzandole per diversi giorni e in un certo senso per toccare con mano l’evoluzione tecnologica che interessa tutti i segmenti.

Alcune vetture, magari non lasciano il segno, vuoi perché non recentissime o perché di motorizzazioni inadeguate, mentre altre sono per così dire “didattiche” o comunque delle piacevoli scoperte. Uno di questi casi fu la Fiat Linea, ovvero una Punto a tre volumi, che non sarà sicuramente la mia prossima auto, ma che ha caratteristiche di comodità e di praticità per le quali in Italia troverebbe più di un acquirente, anche tra i taxisti. Mi si potrà obiettare che da noi le tre volumi siano poco gradite e vengano preferiti altri generi come suv e similari. La mia risposta è “Vero, ma come mai VAG sta vendendo Skoda Rapid e Seat Toledo, nonché VW Jetta?” I loro numeri non saranno da prima in classifica, ma sta di fatto che se a Wolfsburg hanno deciso di commercializzarle da noi, qualche calcolo lo avranno fatto e secondo me vige la regola “piuttosto che scegliere la XXX, comprino la nostra YYY, visto che ce l’abbiamo già in produzione”.  Quindi, sarò un folle, ma la Linea sarebbe potuta essere una Fiat “in più”, invece che in meno.

Terminata la divagazione sulla Linea, torno invece sul tema cardine e tra gli amori estivi, annovererei certamente la VW Polo TSI usata questa estate. Non si tratta di una novità assoluta di modello, né di motorizzazione, ma quella che ho guidato è una versione non importata in Italia e si tratta del 1.2 turbo a benzina da 90 cv. Questo motore da noi è declinato in variante da 105 cv e motorizza anche Golf e Beetle, ma deve fronteggiare una massa maggiore. I 90 cv sulla nuova Polo mi hanno impressionato, poiché ha una velocità massima da berlina media e una coppia adeguata e corposa, quasi dieselistica, utile alla guida quotidiana. Che la Polo sia ormai una sorta di quasi-Golf è un dato di fatto e le riflessioni sono scaturite proprio sulla trasversalità di certe ex-utilitarie, che ormai possono essere considerate come unica vettura di famiglia.

L’altro “fattore di riflessione” ha riguardato l’analisi per così dire psicologica di questa motorizzazione. Tento di spiegarmi: da bambino ero impressionato dalla Uno Turbo, che dal suo 1301 cm3 sfoderava 105 cv, i quali tra l’altro mettevano alla frusta le ruote motrici anteriori, in quanto l’erogazione era piuttosto brusca. La Y10 turbo, altra piccola peste nostrana, aveva un 1050 da 85 cv e pressappoco gli stessi problemi della Uno, quando le si tirava il collo o quando l’asfalto non era asciutto. Erano delle valide sportive, soprattutto la prima e per la loro epoca svolgevano al meglio il compito di entusiasmare. A distanza di quasi 30 anni la Polo presenta caratteristiche quasi in fotocopia, ma una coppia superiore e un motore certamente più “rotondo”. L’evoluzione tecnologica ha praticamente “fatto il giro”, poiché prima ci ha dato dei motori con più cubatura, poi nell’ultimo decennio è tornata a ridurre, ma ha reintrodotto il turbo e ottimizzato tutto il ciclo di utilizzo.

E’ chiaro che la “mia” Polo non fosse la più sportiva, tanto che ne esiste una versione 1.4 turbo più spinto, ben più grintosa, tuttavia l’idea di avere “sotto il sedere” un motore teoricamente simile a quello delle piccole sportive della mia infanzia, mi ha fatto un certo effetto. Chiaramente il TSI non è l’unico motore su applicare il ragionamento perché molte Case ne hanno in listino di simili, non tutti però con lo stesso frazionamento, che definirei “classico”, dunque il paragone è stato ancora più calzante.

Nell’ottica del downsizing sono ormai tantissimi, per non dire tutti, i motori a gasolio o a benzina, che man mano stanno sostituendo i loro fratelli maggiori, tanto che ormai i 1600 “fanno” i 2000, così come i 1300 fanno i 1600 di qualche anno fa e così via. Chissà quali saranno gli sviluppi futuri per ridurre emissioni e consumi, senza penalizzare le prestazioni. E’ probabile che la tecnologia elettrica, magari non pura, ma ibrida verrà sempre più utilizzata, pur se io ne rimango scettico sulla velocità di diffusione e magari chissà che la Formula 1, con i nuovi regolamenti non torni ad essere un vero banco di prova come lo fu negli anni ’80 e ’90: il turbo, ormai diffuso come non mai, ne è la prova.

Impressioni di settembre


E’ il momento di ricominciare, per chi come me si è fermato per le vacanze estive e per il blog, che spero trovi sempre più nuovi e partecipi lettori. Si ricomincia, perché in fondo settembre è un po’ come gennaio e rappresenta l’inizio di un nuovo anno di lavoro. “Per chi ce l’ha”, qualcuno di voi potrà osservare e il mio pensiero va a chi si trova in difficoltà, ancor più nel mondo dell’automobile e nel dettaglio in Italia e a Torino, la mia città.

Ciò che ci crea patemi d’animo è come sempre la situazione economica, con lo stallo dal quale non riusciamo a ripartire. Il mercato dell’auto è inevitabilmente parte di questo sistema e i risultati della situazione sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia vede un mercato in cronica discesa e la Fiat con le sue vicende ne è legata a doppio filo, sia come causa che come “danneggiata”. Nel resto d’Europa le cose non vanno meglio, tanto che ormai il primo mercato di molti produttori europei si trova altrove, negli Usa o in Cina, un vero paese di Bengodi, dove però a mio parere viene premiato chi si muove o si è mosso bene e per tempo. Qualche nome? Il Gruppo Vag, Bmw, Mercedes, Psa o addirittura Volvo che è diventata patrimonio cinese. Mi auguro che presto si aggiunga la Fiat, che si appresta a produrre in loco anche le Jeep, ovvero il marchio più commerciale e internazionale che possiede, escludendo Maserati e Ferrari, che non possono avere “numeri” così importanti. Chi manca? Lo so, lo sapete, manca Alfa, la “bella addormentata” di FGA, che da anni si pensa (spera) di vedere risollevata e con una serie di prodotti concorrenziali. Si dice che ne verranno prodotte in Usa, si dice in Italia, a Mirafiori, ma nel frattempo sono molte le parole e poche, pochissime le auto vendute. Leggevo in luglio i dati di vendita del solo marchio Audi raffrontati con Alfa Romeo e il confronto è impietoso, viste le vendite quadruple a favore del primo marchio, che per inciso, negli Anni ’70 era piuttosto “asmatico”. Chapeau.

Ripartiamo con i soliti problemi: la benzina alle stelle e il suo consumo in discesa, dunque gli effetti sono devastanti per l’Erario, che non incassa quanto ha pianificato. Si vendono meno auto, ma la tassazione su di esse e sui passaggi di proprietà è sempre più alta, mentre all’estero non è ovunque così difficile acquistare l’usato, che pure è in costante sorpasso sul nuovo.

Scusate, mi rendo conto di offrire un’apertura di stagione decisamente funesta e qualcuno mi reputerà più pessimista che realista, ma per fortuna sono ancora parecchie le cose che mi riempiono di “gioia automobilistica”, come ad esempio il notevole numero di novità che le Case (estere) sfornano e presentano, a dispetto chi, in Italia sostiene che in momenti di crisi non valga la pena di presentare nuovi modelli, mentre si scopre che tra le top ten delle vendite europee ci sono modelli perlopiù nuovi o molto recenti. Certo, i numeri sono più piccoli per tutti, ma il cliente se può, privilegia il modello più fresco e accattivante.

Poi, venendo alla consueta e personale autoanalisi, tra le gioie che menzionavo poco sopra, c’è quella un po’ infantile, ma vi assicuro genuina, di tornare a casa dalle vacanze e provare emozione nel riaprire il garage e riprendere a guidare la propria auto, dopo settimane di “astinenza”. Non credo dipenda più di tanto dal modello, perché i “ferri” che ho avuto mi sono piaciuti tutte (fino a prima di venderli), ma la felicità del “ricongiungimento”, della riscoperta di quello che era fino al momento della “separazione” nel box. In fondo, sono ancora un romantico, qualcuno riterrà da internare o, più semplicemente un appassionato. Giudicate voi, anzi, non giudicate, perché a me va bene così!

Buon rientro a tutti.