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La passione


Apro il 2016 del blog augurando un felice anno ai miei lettori e soprattutto con un pensiero per me “ricorrente”. Accade spesso, così come ne ho già scritto in passato, di domandarmi su cosa sia e cosa significhi essere appassionati di automobili al giorno d’oggi. L’interrogativo sorge dal momento che sempre più l’auto e il suo mondo sembrano essere messi in discussione sotto tanti profili: ambientale, sociologico e, non ultimo, economico. Soprattutto in Italia, la tassazione sull’oggetto-automobile, nonché su assicurazione e benzina è alle stelle, con una pressione fiscale praticamente in costante salita. Se da un lato osservo come il mercato si stia riprendendo, dunque si vendono finalmente più automobili, dall’altro riscontro un progressivo minore utilizzo delle stesse. Non occorrono strumenti sofisticati per accorgersi che il traffico sia diminuito – chiedetene conferma ad un qualsiasi taxista- ma l’aspetto drammatico, a mio avviso è che l’auto non sia utilizzata non per fini ambientalistici, bensì per risparmiare almeno sul consumo di carburante.

Tornando in tema, constatavo già tempo fa come le generazioni attuali siano poco interessate alle vetture e come lo siano magari di più di alcuni gadget in esse contenuti, su tutti la connettività, visto che ormai siamo praticamente e costantemente iperconnessi. Insomma, più smartphone-automobile, che automobile-smartphone, ovvero fattori che si allontanano un poco dal fascino di un oggetto fieramente meccanico. Dico questo, ben conscio di subire e apprezzare le innovazioni tecnologiche e il loro progresso: vorrei una 911 del 1970, ma nell’uso di tutti i giorni non disdegnerei una i8, perché non mi reputo nostalgico e non mi dilungo su di un concetto che ho già trattato in altri post.

Affrontavo invece il tema della passione, quasi dell’amore nei confronti dell’automobile, ovvero per me, quell’insieme di emozioni che scaturiscono guidando una vettura “precisa” tra le curve, assaporando la sicurezza di eseguire manovre sentendo che il mezzo “c’è” e ti supporta, senza necessariamente dover guidare al limite, anzi, percependo su strada proprio quell’insieme di sensazioni di controllo, coppia, potenza e trazione, sapendo anche di avere un certo potenziale per alzare il ritmo, senza doverlo per forza fare. Oppure, passione che si manifesta per chi come me è attratto dal design e “gode” del piacere di una bella linea, fatta di elementi ben armonizzati, meglio se poi appartengono alla vettura che si possiede. E così, capita di parcheggiare, scendere e guardarla mentre ci si allontana o magari osservarla da una finestra, quasi come capita ad un innamorato. In effetti, mi trovo ad essere innamorato di ciò che guido, per cui le sensazioni sono simili. Sia chiaro: un po’ si scherza e si ingigantisce, perché i miei amori sono in carne ed ossa e vivono con me, ma si parla di passioni e quindi si sconfina un poco nel campo dell’irrazionalità.

Passione, dicevo, è anche occuparsi della pulizia del proprio “cavallo”, un momento nel quale torno a vedere particolari e forme delle lamiere, ma passione è anche documentarsi, leggere, navigare in internet per cercare informazioni, oggi davvero numerose e a portata di mano, anche se il piacere di sfogliare una rivista o una monografia è per me ancora impareggiabile.

Questi sono alcuni degli aspetti in cui io identifico l’essere appassionato di motori, ma ci saranno molti e molti altri aspetti e prospettive, perché ciascuno vive a proprio modo il rapporto con l’automobile. Probabilmente esiste però in me un aspetto per certi versi in distonia con quanto sopra raccontato, vale a dire il non essere “fedele” per sempre ad una macchina. Per me il possesso è davvero marginale, poiché tanta è la mia voglia di spaziare che, se potessi, eviterei di avere una sola automobile. Purtroppo la realtà e la razionalità (nonché il conto in banca) impongono certe scelte, dunque questa rimane più che altro un’esternazione e un desiderio futuro.

Nürburnein


Qualche mese fa si è discusso a proposito del Nürburgring, che per chi non lo sapesse, è uno dei luoghi sacri dell’automobilismo mondiale. Il tema era il divieto, rivolto in particolare alle Case automobilistiche, rispetto ai tentativi del “giro secco”. Prima di proseguire, occorre precisare che il circuito è in realtà un insieme di circuiti di cui il più famoso è il Nordschleife, che possono arrivare a snodarsi complessivamente per oltre 20 km, con condizioni di asfalto, pendenza e pericolosità, assai impegnative. Viene da sé che una vettura in grado di “girare” bene sull’Inferno Verde, risulti adatta ad un uso stradale intenso.

Per anni il circuito ospitò anche il Gran Premio di F1, precisamente sul percorso lungo e fu giudicato pericoloso anche in virtù dell’incidente che coinvolse Niki Lauda nel 1976. Guidare al Nürburgring è un desiderio che molti appassionati, me incluso, desiderano soddisfare, benché avrei qualche remora a girare con la mia vettura, pena metterla “a muro” o finirne i freni e le gomme, dopo un uso intensivo.

Come accennavo, i costruttori utilizzano sapientemente l’espressione “testata al Nürburgring” anche dal punto di vista commerciale, tanto che i conduttori di Top Gear, per un certo periodo si divertirono a commentare e a chiedersi se qualunque mezzo passasse per le loro mani fosse stato testato laggiù. Il riferimento è quindi sul miglior tempo, che per le hypercar è di poco inferiore ai 7’, ma che poi ha i vari record per ciascuna categoria. Attualmente, tra le auto di serie, se così si può definire serie, il record appartiene alla Porsche 918, che è andata anche sotto i 7’, ma che probabilmente rischia di essere la detentrice per sempre, se i gestori dell’impianto decideranno di non far proseguire gli “hot lap”.

La decisione dell’introduzione dei limiti di velocità in circuito non è stata però peregrina e senza fondamento, perché ha preso spunto dai molteplici incidenti, documentati con dovizia su Youtube, di cui l’ultimo episodio è purtroppo mortale, ovvero quello occorso ad uno spettatore durante una gara di VLN Endurance, causato dalla Nissan GT-R guidata dal pilota inglese Jann Mardenborough, che è letteralmente volato in aria, atterrando poi senza controllo contro le barriere, in uno scontro tanto rovinoso da causare la morte di chi si trovata dietro le protezioni. Per la cronaca, il pilota è uscito illeso.

Oltre a provare un sincero dispiacere per il povero spettatore, permane qualche perplessità sulla decisione di proibire anche i giri veloci. Non vorrei apparire eccessivamente libertario, ma se la motivazione fosse davvero quella, dovrebbero vietare i rally in ogni loro forma, perché in questo caso gli spettatori costituiscono in molti casi il “guardrail” del percorso ed i tristi fatti della scorsa estate ne confermano la pericolosità.

Attenendomi a questo ragionamento, trovo che per frenare i bollenti spiriti sia meglio un circuito che non la strada. In fondo non riscontro nulla di strano se una vettura, guidata da un pilota esperto, perché diversamente non potrebbe essere, cerchi di staccare il miglior tempo. Il problema è, semmai, lo stato del circuito e il fatto che su di esso stiano circolando contemporaneamente veicoli diversi, giacché, pagando, anche un camper può scendere in pista, al pari di una moto.

Sarebbe tutt’al più necessario regolamentare la circolazione e le sessioni di pista, senza contare che in seguito ad un incidente del genere ci si sarebbe aspettati piuttosto un divieto al pubblico, che non uno di “pestare forte”. Non voglio tessere l’elogio della velocità, ma trattandosi di un circuito e non di strade aperte, non mi parrebbe necessario nemmeno ricordare ciò che tutti gli appassionati di motori sanno, tanto che viene persino riportato sui biglietti di molte manifestazioni: “Motorsport is dangerous”.

Ciò deve risultare, secondo me, non come un monito, ma come una presa di coscienza del fatto che quel contesto contenga situazioni di pericolo, ovunque ci si trovi.

Pare che il divieto sia stato temporaneo e la conferma risiederebbe in quello che sto per citare, spianando nuovamente la strada anche ai costruttori che intenderanno sfidarsi sul migliore tempo. La nuova Alfa Romeo Giulia ha staccato un tempone, che mette alle sue spalle svariate supercar (ha senso non considerare essa stessa una supercar?) e che “riapre” la partita tra i costruttori. Quel che sembra certo, è che Case e uffici stampa non siano intenzionati a concepire un Nürburgring a velocità ridotta.

Delta Force


Da qualche tempo circolano sui siti specializzati numerosi render ad opera del designer reggiano Angelo Granata, raffiguranti ipotesi di stile di una Evoluzione GT in merito ad una Delta Integrale che definirei 2.0, non nel senso della cilindrata, bensì nell’accezione moderna di rivisitazione. I miei assidui (spero) lettori saranno già edotti riguardo alla portata dell’affetto che mi lega alla Delta Integrale, essendo stata la mia “prima volta” alla guida, con sensazioni paragonabili a quelle di un sedicenne invitato a cena da Charlize Theron, tanto per fare un parallelismo un po’ forte. E mi fermo qui.

Dunque, di Delta Integrale un po’ ne mastico e se possibile, cerco di informarmi ogni qualvolta venga citata. Le proposte di Granata mi hanno suscitato curiosità e dai commenti che ho riscontrato nei blog e in quelli in calce agli articoli, pare che il pubblico abbia gradito. Qualche articolista si è sbilanciato nell’ipotizzare e nel sollecitare una messa in produzione della vettura, incontrando favori da più parti. Partendo da questo, non vorrei apparire un bastian contrario, ma proporrò ragionamenti che mi porteranno a scontrarmi con il sentire comune.

Ragionando sullo stile, che è una delle materie più soggettive del mondo, tento di esprimere un parere, più che sulle forme, nei confronti della “forma”. I render di Granata sono particolarmente suggestivi, ma le forme della vettura sono a mio avviso un ancora embrionali e riconducibili allo stadio di prototipo. Molti particolari, in una vettura di serie sarebbero forse da adattare, anzi, mi spiego meglio, a seguito di uno studio di fattibilità muterebbero la forma complessiva. E’ probabile che nelle intenzioni di Granata ci sia davvero solamente l’idea di tracciare un solco entro cui far comprendere quali possano essere le forme di una nuova Delta Integrale. Da qui mi avventuro in un’altra porzione di ragionamento che aprirà ulteriori momenti di discussione. La Delta di Granata appare ai miei occhi come un’attualizzazione delle forme di quella passata, persino in maniera estremizzata, risultando un oggetto vintage, quasi restaurato, piuttosto che un modello nuovo. Preciso, prima di essere bollato come folle: si coglie che la vettura è moderna, ma il trattamento stilistico è a mio parere fin troppo retrò. Oltretutto, ma qui ritengo si tratti di un caso, le forme della “nuova” Delta sono simili a quelle di un prototipo, questa volta marciante, realizzato da Audi lo scorso anno: la Quattro Concept. Sono molte le assonanze con i due modelli, giacché la Quattro intende essere una citazione della vecchia “Urquattro”, altra “signora dei Rally” degli anni ’80, in particolare dell’ultima variante accorciata nel passo. Purtroppo, si prova una punta di amarezza al pensiero che per l’Audi si sia (già) arrivati allo stadio di prototipo marciante, mentre la Delta sia al momento un serie di bit e nulla più.

Non faccio mistero ed è la stessa sensazione che provo osservando gli stupendi render retro-moderni di David Obendorfer, di nutrire numerose perplessità sulla riedizione dello stile passato, in particolare quando si tratta di rifare completamente un modello. Sembra un po’ folle questo mio ultimo passaggio, poiché sia la 500, sia la Mini sono riedizioni riuscitissime e il mio ragionamento vacillerebbe parecchio, ma la replica tout-court di un modello, la riedizione seppur attualizzata, non mi entusiasma, perché di questo passo non ci sarebbe mai evoluzione dello stile. Cerco di spiegarmi ulteriormente: Mini e 500 sono citazioni dei vecchi modelli, ispirate al passato, ma con trattamenti moderni dello stile, mentre la Delta Evoluzione, ha sì dei particolari moderni e modernizzati, ma ricalca moltissimo le proporzioni del modello originale. Non è una pecca, ma dal mio punto di vista e da come immaginerei un modello di produzione attuale, ritengo non sia particolarmente felice come soluzione.

Da quello che leggo in rete, la mia voce è anche questo caso fuori dal coro, così come lo saranno i prossimi ragionamenti che riguardano la messa in produzione. Ho letto che un team di artigiani e preparatori appassionati ha intenzione di realizzare un prototipo marciante in scala reale della vettura, non so su quale base meccanica, ma con un motore 5 cilindri 2.0 della vecchia Fiat Coupé. Molti si augurano che questo possa indurre FCA a mettere in produzione la vettura, ma ritengo queste voci poco fondate. Prima di tutto mi pare evidente che FCA non disponga al momento di una piattaforma idonea alla realizzazione, poiché la Compact della Giulietta è solo a trazione anteriore. E’ vero che tra poco il suv Alfa Romeo nascerà su una derivazione, ma probabilmente sarebbero necessari adattamenti, lo stesso dicasi per il sistema di trazione, che potrebbe essere prelevato dal suv. Il motore potrebbe essere il 1750 turbo della Giulietta QV o della 4C, ma a questo punto ci sarebbe da domandarsi che senso avrebbe fare una Delta che è la fotocopia di una Giulietta, pur se nel Gruppo VW Golf, S3, Leon, hanno layout molto simili e le soluzioni funzionano sul mercato. Non funzionerebbe a mio avviso un elemento, di carattere economico: per produrre la Delta Integrale occorrerebbe anche il modello “normale”, altrimenti i costi lieviterebbero senza garantire guadagni accettabili, dato il numero comunque esiguo di unità vendute. Altro fattore da considerare è che oggi una forma, intesa come silhouette, come quella della Delta di Angelo Granata non potrebbe sussistere, poiché difficilmente supererebbe le norme sull’impatto frontale e sull’urto con i pedoni. La soluzione potrebbe essere rappresentata dall’omologazione come prodotto in serie ridotta, ma si porrebbe il problema del prezzo di vendita e dei margini dell’operazione. Un parallelo attinente è quello dell’Alfa 4C, il che vorrebbe dire un prezzo da circa 50000 euro, non inaccessibile per gli appassionati, ma lontano da quello di S3 e simili.

Non voglio chiudere con una stroncatura del lavoro di Angelo Granata, che anzi apprezzo, fin dall’idea di mettere mano su di un mito (anche della mia adolescenza) e soprattutto perché dimostra che esistono sempre appassionati di automobili con la A maiuscola.