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Delta Force


Da qualche tempo circolano sui siti specializzati numerosi render ad opera del designer reggiano Angelo Granata, raffiguranti ipotesi di stile di una Evoluzione GT in merito ad una Delta Integrale che definirei 2.0, non nel senso della cilindrata, bensì nell’accezione moderna di rivisitazione. I miei assidui (spero) lettori saranno già edotti riguardo alla portata dell’affetto che mi lega alla Delta Integrale, essendo stata la mia “prima volta” alla guida, con sensazioni paragonabili a quelle di un sedicenne invitato a cena da Charlize Theron, tanto per fare un parallelismo un po’ forte. E mi fermo qui.

Dunque, di Delta Integrale un po’ ne mastico e se possibile, cerco di informarmi ogni qualvolta venga citata. Le proposte di Granata mi hanno suscitato curiosità e dai commenti che ho riscontrato nei blog e in quelli in calce agli articoli, pare che il pubblico abbia gradito. Qualche articolista si è sbilanciato nell’ipotizzare e nel sollecitare una messa in produzione della vettura, incontrando favori da più parti. Partendo da questo, non vorrei apparire un bastian contrario, ma proporrò ragionamenti che mi porteranno a scontrarmi con il sentire comune.

Ragionando sullo stile, che è una delle materie più soggettive del mondo, tento di esprimere un parere, più che sulle forme, nei confronti della “forma”. I render di Granata sono particolarmente suggestivi, ma le forme della vettura sono a mio avviso un ancora embrionali e riconducibili allo stadio di prototipo. Molti particolari, in una vettura di serie sarebbero forse da adattare, anzi, mi spiego meglio, a seguito di uno studio di fattibilità muterebbero la forma complessiva. E’ probabile che nelle intenzioni di Granata ci sia davvero solamente l’idea di tracciare un solco entro cui far comprendere quali possano essere le forme di una nuova Delta Integrale. Da qui mi avventuro in un’altra porzione di ragionamento che aprirà ulteriori momenti di discussione. La Delta di Granata appare ai miei occhi come un’attualizzazione delle forme di quella passata, persino in maniera estremizzata, risultando un oggetto vintage, quasi restaurato, piuttosto che un modello nuovo. Preciso, prima di essere bollato come folle: si coglie che la vettura è moderna, ma il trattamento stilistico è a mio parere fin troppo retrò. Oltretutto, ma qui ritengo si tratti di un caso, le forme della “nuova” Delta sono simili a quelle di un prototipo, questa volta marciante, realizzato da Audi lo scorso anno: la Quattro Concept. Sono molte le assonanze con i due modelli, giacché la Quattro intende essere una citazione della vecchia “Urquattro”, altra “signora dei Rally” degli anni ’80, in particolare dell’ultima variante accorciata nel passo. Purtroppo, si prova una punta di amarezza al pensiero che per l’Audi si sia (già) arrivati allo stadio di prototipo marciante, mentre la Delta sia al momento un serie di bit e nulla più.

Non faccio mistero ed è la stessa sensazione che provo osservando gli stupendi render retro-moderni di David Obendorfer, di nutrire numerose perplessità sulla riedizione dello stile passato, in particolare quando si tratta di rifare completamente un modello. Sembra un po’ folle questo mio ultimo passaggio, poiché sia la 500, sia la Mini sono riedizioni riuscitissime e il mio ragionamento vacillerebbe parecchio, ma la replica tout-court di un modello, la riedizione seppur attualizzata, non mi entusiasma, perché di questo passo non ci sarebbe mai evoluzione dello stile. Cerco di spiegarmi ulteriormente: Mini e 500 sono citazioni dei vecchi modelli, ispirate al passato, ma con trattamenti moderni dello stile, mentre la Delta Evoluzione, ha sì dei particolari moderni e modernizzati, ma ricalca moltissimo le proporzioni del modello originale. Non è una pecca, ma dal mio punto di vista e da come immaginerei un modello di produzione attuale, ritengo non sia particolarmente felice come soluzione.

Da quello che leggo in rete, la mia voce è anche questo caso fuori dal coro, così come lo saranno i prossimi ragionamenti che riguardano la messa in produzione. Ho letto che un team di artigiani e preparatori appassionati ha intenzione di realizzare un prototipo marciante in scala reale della vettura, non so su quale base meccanica, ma con un motore 5 cilindri 2.0 della vecchia Fiat Coupé. Molti si augurano che questo possa indurre FCA a mettere in produzione la vettura, ma ritengo queste voci poco fondate. Prima di tutto mi pare evidente che FCA non disponga al momento di una piattaforma idonea alla realizzazione, poiché la Compact della Giulietta è solo a trazione anteriore. E’ vero che tra poco il suv Alfa Romeo nascerà su una derivazione, ma probabilmente sarebbero necessari adattamenti, lo stesso dicasi per il sistema di trazione, che potrebbe essere prelevato dal suv. Il motore potrebbe essere il 1750 turbo della Giulietta QV o della 4C, ma a questo punto ci sarebbe da domandarsi che senso avrebbe fare una Delta che è la fotocopia di una Giulietta, pur se nel Gruppo VW Golf, S3, Leon, hanno layout molto simili e le soluzioni funzionano sul mercato. Non funzionerebbe a mio avviso un elemento, di carattere economico: per produrre la Delta Integrale occorrerebbe anche il modello “normale”, altrimenti i costi lieviterebbero senza garantire guadagni accettabili, dato il numero comunque esiguo di unità vendute. Altro fattore da considerare è che oggi una forma, intesa come silhouette, come quella della Delta di Angelo Granata non potrebbe sussistere, poiché difficilmente supererebbe le norme sull’impatto frontale e sull’urto con i pedoni. La soluzione potrebbe essere rappresentata dall’omologazione come prodotto in serie ridotta, ma si porrebbe il problema del prezzo di vendita e dei margini dell’operazione. Un parallelo attinente è quello dell’Alfa 4C, il che vorrebbe dire un prezzo da circa 50000 euro, non inaccessibile per gli appassionati, ma lontano da quello di S3 e simili.

Non voglio chiudere con una stroncatura del lavoro di Angelo Granata, che anzi apprezzo, fin dall’idea di mettere mano su di un mito (anche della mia adolescenza) e soprattutto perché dimostra che esistono sempre appassionati di automobili con la A maiuscola.

Il box dei sogni


Tra le tante “fantasie” che sin qui vi ho descritto, credo di non aver ancora toccato quella inerente il “garage dei sogni”. Specifico: non è il garage dei sogni riferito al presente, bensì quella che potrebbe essere la mia collezione privata, composta da vecchie glorie e infatuazioni giovanili.

Non sono un grande appassionato di auto d’epoca, che pure ammiro quando mi capita di incrociare e in generale prediligo le automobili dagli anni ’70 in poi, quindi la mia la classifica va a pescare principalmente da quel periodo. In più, tra le regole “mentali” che mi do, c’è anche quella di desiderare vetture “umane” e non irraggiungibili. Per intenderci, mi piacciono sia la Ferrari GTO del 1962, al pari della Porsche 959 del 1986, ma le ho escluse dalla wish list, perché sono “troppo” anche per essere desiderate. A meno di follie al Superenalotto.

Tornando quindi ad una dimensione di sogni maggiormente “sognabili”, aprirei la mia non-classifica con la Delta Integrale, in particolare con le versioni 16v e/o Evoluzione, che hanno rappresentato per me il sogno dell’adolescenza. Il Deltone è ancora molto amato ed è considerato una delle migliori auto da rally anche in versione stradale e per molti anni dopo la sua uscita di produzione è stata utilizzata in gara. La mia Delta ideale potrebbe essere rossa o bianca.

Proseguendo, affiancherei al Deltone una Bmw M3 della serie E30, prodotta verso la fine degli anni ’80. Si tratta della capostipite delle M3 e in generale della famiglia M come la intendiamo noi, visto che la M5 era in fase embrionale ed esisteva una versione M della 5, che però non ostentava i caratteri tipici del Motorsport. La M3 e in generale la serie E30 mi piacciono per la loro spigolosità e per l’aggressività trasmessa dai 4 fari, non ancora carenati come nella serie seguente, più tondeggiante in ossequio ai canoni stilistici degli anni ’90. In alternativa metterei nel box una 320 is della medesima serie, ribattezzata la M3 italiana, che perdeva 300 cm3 e pochi cavalli rispetto al 6 cilindri 2300, ma che vantava piglio e assetto aggressivi…e pur sempre 192cv,  che per un 2000 aspirato, rappresentano un bel valore anche oggi.

I rally hanno catturato per anni la mia attenzione e lo si può evincere dal fatto che mi affascini ancora oggi l’Audi Quattro o Urquattro come amano chiamarla i tedeschi. Anche qui siamo di fronte a spigoli e parafanghi allargati, “appoggiati” su linee da coupé filante per la propria epoca, con motori turbo a 5 cilindri e trazione integrale. Era un “bel ferro” e diede filo da torcere per anni nei rally agli altri costruttori.

Mi allontano un momento dai rally e volo con la fantasia verso la pista, che vide sfrecciare le versioni dedicate della Lancia Beta Montecarlo, una granturismo di piccola taglia, disegnata da Pininfarina negli anni ’70 e che in origine sarebbe dovuta essere una Fiat. Al di là di ciò, mi è sempre piaciuta la sua linea schiacciata verso il terreno e caratterizzata dalle due “pinne” posteriori. Non ne sono state prodotte moltissime e non si tratta di una vettura ad alte prestazioni, anzi, il suo motore 2000 era persino sottodimensionato per le caratteristiche, tanto che ne derivarono potentissime versioni da Endurance e persino la Lancia 037, ne è una sua lontana parente.

Rimanendo in classe 2000 e motori Fiat, non disdegnerei una “popolare” Ritmo Abarth 130 TC, in particolare delle ultime versioni a ridosso della fine degli anni ’80. Prima della modernissima Tipo, era stata l’anti Golf GTI italiana e non nascondeva una certa rudezza e sportività. Se al giorno d’oggi i 130 cv dal un motore 2000 cm3 fanno quasi tenerezza, bisogna ricollocare il tutto al periodo storico e alla massa sotto i 1000 kg, il che vuol dire grande agilità.

Tornando alle vetture rallystiche, uno dei miei capisaldi è, non considerando l’inarrivabile Stratos, la Fulvia HF del 1972. Linee tese, dimensioni contenute, motore e aggressività: il perfetto mix, meglio se con la stupenda livrea rossa con cofano e bagagliaio neri.

La lista si potrebbe allungare a dismisura includendo la Porsche 911, nella sua prima serie o in quella 993 del 1993, che rappresenta la conclusione del percorso stilistico della prima serie, poi potremmo includere l’Audi RS2 Avant, ovvero una 80 Avant, “calzata” su di una Porsche (ne montava persino i cerchi, le frecce anteriori e i freni), oppure potremmo proseguire con la Ford Capri MkIII, con la Fiat 124 Spider o l’Alfa Romeo Duetto, un Range Rover e così via.

Non esistono freni alla fantasia, mentre ne esistono legati al portafoglio, in più l’attuale legislazione italiana prevede una regola a mio parere discutibile, ovvero l’attribuzione di 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185 Kw, che sono sì 250 cv, quindi una cifra considerevole, che però non tiene conto di alcuni fattori. In primis e non vorrei far apparire il mio ragionamento come “salva-ricchi”, la disposizione ha prodotto come effetto un calo di immatricolazioni, ovvero IVA e ha fatto sì che molte case ritoccassero la potenza di alcuni modelli, considerati da chi ha introdotto il provvedimento come modelli da tenere d’occhio, con il risultato che adesso queste vetture sono “nascoste” al fisco. Inoltre e qui si va a toccare il tasto dolente per gli “appassionati”, il provvedimento del superbollo non sparisce con il passare degli anni, in cui l’auto perde inesorabilmente valore e va ad affossare il mercato dell’usato e quello di chi compra auto non così anziane da essere d’epoca, ma ancora “sovra tassate”. Risultato? Non si può comprare una vettura che in due anni paghi più bollo che valore. Credo che su questo, tra i tanti problemi futuri, ci sarà da riflettere.

Nel frattempo torno a pensare come comporre il mio dream team da garage.